Da ormai più di un anno e mezzo fa i danesi Isbjörg avevano iniziato la marcia che ha portato a questo secondo album, che arriva dopo
Iridescent del 2019, cominciando con il pubblicare il primo singolo
Ornament (
di cui qui abbiamo un'intervista) e con l'occasione presentare anche il nuovo cantante entrato in formazione
Jonathan Kjærulff Jensen. Arrivati adesso a
Falter, Endure i sei mostrano tutta la potenzialità di quello che loro chiamano "math-stadium rock", qualità che già risplendevano nei cinque singoli usciti in anteprima.
La peculiarità degli Isbjörg è quella di porre il riflettore del loro sound sul piano acustico suonato da
Mathias Bro Jørgensen e, nonostante ciò, il gruppo consiste anche di due chitarre ad opera di Dines Dahl Karlsen e Lasse Gitz Thingholm. Quindi niente trucchi con tastiere o sintetizzatori, ma solo un forte senso di pop pianistico amplificato su grande scala. Questo si traduce in un suono corposo e stratificato, che magari l'imperante supremazia del prog metal di oggi potrebbe far erroneamente includere gli Isbjörg all'interno della sua sfera. Invece le melodie cristalline e gli impasti elettroacustici sognanti concorrono a donare una proposta del tutto personale alla musica del sestetto. Per l'epica e solennità del sound è come se fossero una versione prog rock dei conterranei Mew votati però ad un indirizzo AOR.
La componente che fa auto-definire il prog della band come "stadium rock" è presto spiegato dalle altisonanti e cristalline armonie (vocali e strumentali) del primo brano Ornament, ma tutta l'estetica dei brani è indirizzata verso una resa grandiosa attraverso ampie e ariose melodie che si dispiegano oltre con Homeward Bound, l'avvolgente finale di Under Your River (il cui ultimo inciso anticipa il chorus della conclusiva The River of You) e Afterglow, non perdendo tale caratteristica neanche quando i riff di piano e chitarra si incontrano in intrecci dal sapore melodrammatico come su Am I the Sinner Now?.
Il fatto di rendere i brani accattivanti non impedisce agli Isbjörg di costruirci sopra intermezzi, articolazioni e sviluppi con poliritmie in cui una costante e sottile sensazione di uno scopo sinfonico-avventuroso si possa applicare ad una musica così emotiva ed avvincente. Ad esempio i saliscendi dinamici di Solitaire o la multipartita mini suite Dressed in White Lies sono due picchi espressivi dell'album dove il gruppo espone una gran competenza per un linguaggio prog moderno che non guarda affatto al passato, anzi, nella seconda si stagliano persino echi della teatralità dei The Dear Hunter. Ben vengano quindi album come Falter, Endure piantati nella contemporaneità del prog e che cercano di ritagliarsi un posto senza rifarsi per forza a stilemi precedenti ormai riconoscibili, ma provando a trovarne uno proprio.