domenica 23 maggio 2021

Black Midi - Cavalcade (2021)


L'entusiasmo musicale è una sensazione molto gratificante: un irrefrenabile istinto che ti porta all'urgenza di condividere con gli altri una nuova scoperta, meglio ancora se ci senti dentro qualcosa di nuovo e unico. Bisogna però fare molta attenzione a non farsi prendere la mano, perché poi, quando l'entusiasmo si diffonde in modo più generalizzato, c'è il rischio che spuntino fuori parole eccessivamente spropositate come "capolavoro", "coraggioso" o "rivoluzione" che magari, associate all'opera a cui ci si riferisce, vanno un po' strette e finiscono per apparire esagerate e fuori luogo. 
 
Questo per dire che a soli cinque mesi dentro il 2021 si contano già diversi album responsabili di aver generato un hype clamoroso - e mi riferisco a Black Country New Road, Floating Points insieme a Pharoah Sanders, Dry Cleaning, Squid e Iosonouncane -, dove la critica ha indirizzando le lodi verso elementi di peculiarità e unicità di tali uscite, a loro dire audaci, anche se in realtà, come sempre, andando a scavare nel sottobosco musicale si possono trovare cose ben più interessanti, ignorate a loro tempo e passate sotto silenzio solo perché non abbastanza in linea con ciò che è ritenuto cool in quel momento. Talvolta si ha la sensazione, come nel caso del nostro Iosonouncane, che l'asticella dell'hype pre-release sia andata fuori scala e che il giudizio positivo arrivi aprioristico a prescindere, non in virtù dell'opera, ma del nome del suo autore.

Anche per i Black Midi successe la stessa cosa ancor prima che pubblicassero il loro primo album due anni fa. In effetti, le loro apparizioni live giustificavano una certa attesa, cosa che poi è stata leggermente ridimensionata all'uscita di Schlagenheim, generalmente lodato dalla stampa, ma non all'altezza di tutto il clamore sollevato in partenza. Adesso, alla lunga distanza e alla luce del secondo album Cavalcade, quell'hype sembra pienamente giustificato. Come già i vari singoli anticipavano, il nuovo sforzo discografico dei Black Midi segna un imprevedibile e, a suo modo, radicale cambio di rotta, virando lo sguardo della loro sperimentazione post punk/noise rock verso un altro linguaggio o stilema musicale. Così facendo, i Black Midi dimostrano grande acutezza nel non ripetere gli schemi del debutto ma, in particolare, manifestano un'ambizione che li ha trasportati in territori ancor più elaborati e vicini al progressive rock, ripagandoli di tale scelta.

Cavalcade vede l'originale line-up privata temporaneamente del chitarrista Matt Kwasniewski-Kelvin, assente durante le registrazioni per prendersi cura della propria salute mentale. Al suo posto comunque il gruppo si è stabilmente espanso con il sassofonista Kaidi Akinnibi e il tastierista Seth Evans, dettaglio non secondario visto la piega che hanno preso le nuove composizioni. Per una band già imprevedibile di suo, Cavalcade ha il pregio di essere una continua scoperta, nella quale i Black Midi mettono sul piatto molteplici aspetti sonori, a differenza del primo album che appariva più coerente nell'offrire una visione disordinata di math rock viscerale e punk. 

Ad esempio l'esaltazione dell'improvvisazione e del continuo accavallarsi di ritmiche e progressioni caotiche che erano prerogativa di Schlagenheim, qui lasciano lo spazio anche a squarci di composizione, per così dire, più lineare, mettendo alla prova il gruppo su un versante soft e melodico, quasi del tutto inedito per loro. E anche per questo Cavalcade si rivela un album pieno di piacevoli sorprese. Quando il cantante e chitarrista Geordie Greep non si lascia andare al suo peculiare e idiosincratico vezzo vocale declamatorio da espressionismo tedesco, sembra quasi assumere le sembianze di un consumato crooner, come avviene nei due brani Marlene Dietrich e Ascending Forth, che maggiormente rappresentano le caratteristiche appena citate. Entrambe caratterizzate da un approccio acustico con un vago sapore di chamber folk, la prima è una rilassatissima ballad che si tinge di un arrangiamento tra il vintage e il moderno, cogliendo sia le malinconiche arie del pop orchestrale del cinema anni '60, sia la spaziosa psichedelia di quel periodo. La seconda, che è forse la traccia meno convenzionale per i Black Midi, si regge inizialmente su una progressione di accordi di chitarra pizzicati, quasi bossa nova, e all'accenno delle sue prime variazioni il brano prende le sembianze di una sinfonia per gruppo rock simil Genesis. Non per quanto riguarda l'aspetto orchestrale, ma per quello formale ed esecutivo, un pezzo che pare estrapolato da una pièce più ampia, nell'ottica della concezione di popular music, tra colto e popolare, tramandata fino a noi dai fratelli Gershwin (fatte le dovute proporzioni ovviamente).

Discorso totalmente differente per la sperimentale Diamond Stuff, anch'essa che si stacca sostanzialmente dall'estetica dell'esordio, imbastendo un piccolo concerto per cordofoni e percussioni, incentrato su una cellula percussiva martellante alla quale si sommano in crescendo gli altri strumenti, fino sfociare su un ritmo fluido ed a creare un finale catartico e psichedelico. Quell'attitudine post punk presente su Schlagenheim, in questa sede viene convogliata piuttosto verso le zone del free jazzcore bombardante dei The Mars Volta, come accade nei nevrotici arcipelaghi di-staccati di John L, frazionati da stop improvvisi con ripartenze ogni volta sempre più fragorose. Una vera e propria "cavalcata" di strumenti al loro massimo di tensione, che accelerano in modo propulsivo e schizofrenico durante il loro percorso, tra ostinati di violini, chitarre psicotiche, sassofoni sguaiati e pianoforte apocalittico. 

Questa attitudine prosegue su Chondromalacia Patella: il sound è rauco, secco e il brano viene montato sopra tasselli e frammenti tematici di math jazz che oscillano dal quieto al rumoroso, allo stesso modo in cui la ritmica conduce dallo swing al punk. Slow la segue a ruota in questa ricerca dinamica di equilibrio di frenetica geometria irregolare e fusion post moderna, mentre Dethroned è una scusa per mettere in vetrina l'abilità di ciò che possono inventarsi i Black Midi attorno ad un groove avvolgente e costantemente in divenire. Hogwash and Balderdash si spinge ancora più a fondo nella sua idea di patchwork strutturale e sonoro, stipando in due minuti e mezzo ogni aspetto dell'album: è come fosse il trailer di Cavalcade

Come sempre nelle tracce più pirotecniche il drumming di Morgan Simpson è il vero perno del quale si servono i Black Midi per avviluppare complesse e cervellotiche dinamiche. Ma si deve ammettere che la direzione dell'album mette in risalto le abili doti di ognuno di loro come hanno dato prova nell'incredibile sessione dal vivo per KEXP. Quindi, chiudendo il cerchio sull'argomento di apertura, Cavalcade forse non ha generato lo stesso hype dei gruppi citati in precedenza, ma anche se lo avesse fatto sarebbe stato sicuramente più giustificato. Detto questo, anche per Cavalcade non è legittimo spendere vocaboli maestosi come "capolavoro", "coraggioso" o "rivoluzionario", poiché non rientra in queste categorie. Il giudizio rimane però positivo, è un notevole progresso in avanti rispetto al primo album, è un ascolto complesso e stimolante, ma soprattutto è l'ambiziosa fotografia di una band che ha saputo rinnovarsi in grande stile.

venerdì 14 maggio 2021

Frost* - Day and Age (2021)

 
E' passato quasi un anno dall'EP Others - che ha anticipato il box set antologico 13 Winters pubblicato lo scorso novembre -, una piccola raccolta di inediti uscita per mitigare l'attesa di questo Day and Age, quarto album in studio della band di Jem Godfrey. Con lui sono rimasti in formazione i fidati John Mitchell alla chitarra e Nathan King al basso. Purtroppo qualche tempo fa il batterista Craig Blundell ha lasciato in termini amichevoli i Frost*, i quali in questo lavoro hanno deciso di non sostituirlo con un membro stabile, ma sono ricorsi all'avvicendarsi di tre batteristi: Kaz Rodriguez (Chaka Khan, Josh Groban), Darby Todd (The Darkness, Martin Barre) e, last but not least, Pat Mastelotto (King Crimson, Mister Mister). 
 
La particolarità di un gruppo come i Frost*, oltre a quella di non cadere nelle trappole del prog revival, ma infondere al genere una visione moderna e rinnovata, è stata quella cambiare prospettiva in ogni lavoro mantenendo salda un'identità sonora tra elettronica e prog futurista che li ha da sempre caratterizzati. Tale aspetto li ha agevolati nella maturazione, come se ogni volta avessero esplorato un aspetto diverso del loro metodo compositivo, cercando soluzioni al fine di non ripetersi. In questa seconda fase della storia dei Frost* si può affermare che la scrittura è nelle mani dell'esperto duo Godfrey/Mitchell e da questo punto di vista Day and Age è un album dei Frost* a tutti gli effetti, dove i contributi dei due autori sono più che riconoscibili. Questa volta però la prima cosa che può essere rilevata è l'assente di quella particolare miscela che ha sempre portato i Frost* a cambiare e progredire. Day and Age risulta così un album di stallo all'interno della discografia del gruppo, un momento creativo che non aggiunge nulla a quanto già fatto in passato. Ma questa non vuole essere una critica severa, poiché è comprensibile che non si possa pretendere che ogni capitolo apporti qualcosa di differente.

La title-track, ad esempio, pur sfiorando i dodici minuti, si consuma in una prima parte dove è compresa una canzone (infatti disponibile anche in versione edit) che avrebbe potuto tranquillamente essere inclusa nel progetto solista di Mitchell Lonely Robot (senza nulla togliere, ma dai Frost* ci si aspetterebbe di più), proseguendo poi con una parte strumentale che invece è un vacuo contenitore di suoni tastieristici e chitarristici, ben ritmato ed eseguito, ma nnell'insieme abbastanza dimenticabile. Stesso discorso vale per la successiva Terrestrial, ineccepibile dal punto di vista interpretativo, ma un episodio di stesura quasi di routine per il duo.

Waiting for the Lie è un brano d'atmosfera guidato da piano e tastiere, a volte a carattere minimale, che pare un interludio allungato al quale sono stati donati connotati da pezzo compiuto. Sempre tra le composizioni più brevi (cioè normali se non si utilizzano i parametri prog) sono da includere Island Life e Skywards, molto gradevoli, ma nulla di più. The Boy Who Stood Still è la traccia più inaspettata, strumentalmente è la più interessante del lotto, riportando i Frost* a quell'electro prog presente sul precedente Falling Satellites, con la peculiarità di utilizzare al posto del cantato un racconto in spoken word per buona parte della sua durata.
 
Kill the Orchestra nelle intenzioni dovrebbe essere l'epic track, il pezzo di punta dell'album, ma dopo una timida introduzione di due minuti con Godfrey in solitaria tra tastiera e voce, prende il via con un insieme sonoro abbastanza standard, spinto da un groove cadenzato, anche se l'impasto si dimostra poco convinto, restituendo l'idea che anche la band sia poco partecipe emotivamente nell'esecuzione. Repeat to Fade ha una cadenza marziale e un tema musicale reiterato, edificato da bassi bombardanti e tastiere sontuose e algide, che donano al tutto un sapore industrial. Il giudizio generale è che Day and Age rimanga un'opera che riporta una versione un po' sbiadita dei Frost*, fotografia di un istante non molto ispirato in cui la band ha bisogno di un nuovo slancio, oppure, se questa sarà la direzione futura, fermarsi per riflettere su soluzioni più incisive.
 

venerdì 7 maggio 2021

Mad Lollypop - But Am I A Dream? (2021)

Nel 2017 inserivo nella mia top ten di fine anno l'album Party With Imaginary Friends, esordio molto riuscito di una band dallo strano nome di Molly the Lollypop e lo presentavo con queste parole: "Fresco ed inventivo duo formato da Andy Irwin e Sean Hilton che si inoltra nel prog metal avvalendosi di pesanti dosi di space rock mutuato da dance e trance-ambient. Sempre in bilico tra trip popedelico e aggressività post metal, Party with Imaginary Friends è un ascolto consigliato sia ai fan dei Porcupine Tree e Ozric Tentacles versione anni '90, sia ai moderni cultori del djent."

Qualche tempo fa i Molly the Lollypop hanno cambiato nome in Mad Lollypop pubblicando il singolo The Oceanside che andrà a finire nel secondo album. Nell'attesa però la band di Indianapolis ha deciso di realizzare un piccolo EP, formato praticamente da due nuovi brani e brevi interludi, più un paio di outtakes dal primo album. Fermo restando che anche per il presente materiale rimane valido quanto scritto nel 2017, But Am I A Dream? è un buon condensato, molto ristretto, per farsi un'idea di ciò che hanno da offrire i Mad Lollypop, oltre che rappresentare una valida scusa per scoprire Party with Imaginary Friends se ancora non lo avete fatto.

giovedì 6 maggio 2021

Beautiful Bedlam - Beautiful Bedlam (2021)

 
 
Proprio un paio di mesi fa avevo parlato della prog band australiana A Lonely Crowd, la quale purtroppo ha esaurito il suo corso cinque anni fa, dopo due album e un EP. Oggi i principali esponenti del defunto gruppo, i fratelli Luke e Scott Ancell (rispettivamente chitarra e batteria), si presentano nuovamente sulle scene con un progetto fondato nel 2017 dal nome Beautiful Bedlam, affiancati da Ross Taylor alla voce e alle tastiere e James Van Strien al basso. Dopo aver rodato la compattezza quartetto dal vivo nel circuito dei locali di Melbourne, adesso sono pronti a realizzare l'omonimo esordio.

Per chi ha conosciuto gli A Lonely Crowd, nei Beautiful Bedlam ritroverà inevitabilmente alcuni aspetti sonori dei due fratelli, come ad esempio il timbro aspro e affilato come una lama della chitarra o come la batteria prominente e geometrica, ma anche il particolare modo di comporre, che qui si sviluppa e si estende ancor più chiaramente verso orizzonti più sperimentali e progressive rock e, talvolta, math rock.

Beautiful Bedlam in questo è un lavoro molto variegato per ciò che riguarda l'aspetto stilistico e non solo per la scelta di servirsi di vari ospiti vocali. Il connubio tra la batteria brufordiana e la chitarra frippiana di Scott e Luke fa serpeggiare sottotraccia un richiamo ai King Crimson dell'era '73-'74, una sensazione che si palesa fin dall'apertura nella nervosa Flaking Paint. Su Breather fa la sua comparsa la storica cantante degli A Lonely Crowd Xen Havales e l'atmosfera molto melodiosa del brano, abbinata a furiosi riff hard rock, accosta i Beautiful Bedlam all'art prog dei District 97. Ad ogni modo, pur utilizzando suoni aggressivi e spigolosi, la band non sconfina mai propriamente nel regno metal, salvo lasciarsi lo spazio per sbizzarrirsi nel finale, prima con Silent To The End dove, grazie anche all'intervento del cantante Michael Minehan, dove si spingono in una tirata thrash-prog con tanto di harsh vocals, ed infine con la minacciosa Pigment (con Matt Belleville alla voce) che, tra growl e teatralità, nel contesto dell'album pare una scheggia impazzita alla Mr. Bungle.

Ma i Beautiful Bedlam hanno ancora molto da offrire: come per gli A Lonely Crowd non ci sono reali termini di paragone con altri gruppi prog, ma nella propria varietà il gruppo si crea una sfera stilistica peculiare nella quale va ad operare. Se vogliamo proprio tirare in ballo qualcuno, possiamo affermare che i BB ambiscono all'unicità dei The Mercury Tree, come dimostrano con Two Thirds e Sweet Oblivion che la loro dimensione ideale è l'avant-garde prog. Nelle strumentali Cocktail Crime Scene e Dog's Breakfast vengono fusi prog metal e jazz con inventiva e guizzi tematici estrosi, mentre Open World e I Adore applicano benissimo il prog elettrificato e synth-etico alla forma tematica più tradizionale, senza rinunciare a personalizzarle con accorgimenti e involuzioni strumentali. Anche con questo nuovo progetto i fratelli Ancell non hanno perso la loro identità musicale, anzi la rivendicano grazie ad una prova più che convincente.

mercoledì 5 maggio 2021

Sketchshow - Waves (2021)

Negli ultimi anni il math pop è divenuto più che un elusivo sottogenere che si è sviluppato prendendo le mosse dal suo principale tronco math rock. In particolare in Inghilterra, grazie all'apporto di giovani ed agguerrite band indipendenti, si è creata una nicchia di pubblico (anche internazionale) ed ha acuisito un contorno stilistico ben definito. Fa molto piacere poi notare che all'interno di questa scena si sono distinte in modo particolare band che hanno alla testa delle frontwoman, ricordando Signals., Orchards e FES tra le migliori proposte che il math pop inglese ha oggi da offrire.

Anche gli Sketchshow rientrano tra questi e avevano fatto la loro prima apparizione nel 2018 con il fulminante EP Patchwork. Il nuovo Waves, in uscita questo venerdì, segna il ritorno dopo tre anni, ma questa volta è un full length nel quale il gruppo si è impegnato a progredire ed affinare il proprio stile. Se infatti su Patchwork l'ago della bilancia propendeva maggiormente verso l'aspetto pop del binomio, nel quale immediatezza e linearità permettevano una "gratificazione istantanea", Waves predilige una scrittura più orientata al versante "math", con qualche ammiccamento al prog. In ogni caso non si pensi ad un'opera estremamente complessa per l'ascolto, poiché rimangono intatte quelle linee ritmiche e armoniche trascinanti che ne fanno un lavoro accattivante, solo che le melodie appaiono meno prevedibili del solito e più elaborate. 

Il singolo Chrysalis può servire da buon esempio per spiegare l'evoluzione che, pur trattenendo chorus e armonie di sicuro impatto, spostano la struttura in un contesto quasi da progressive pop. Al primo impatto con Conscious, che apre il disco dopo il breve intro strumentale Awake, tra tutti sembra che la cantante Satin Bailey sia quella che ha incrementato molto il proprio stile di interpretazione, visto che in qualche momento il suo timbro vocale prende risvolti differenti rispetto all'euforico esordio. In questo caso sia lei che il gruppo appaiono più impegnati a dare un contributo emotivo ed espressivo diversificato nello svolgimento dei brani. Trust (Isn't Easy) e Conscious ricadono proprio nella tale categoria, in quanto si diramano e dipanano in vari rivoli di trama e, tra il punto di partenza e quello di arrivo, vengono proposti passaggi che mutano e rimettono in discussione la direzione della composizione.

Anche se gli stratagemmi chitarristici di Luke Phillips e Adam Curran rispecchiano il tapping e i legati tipici del math rock, l'atmosfera del funk pop di Delight e quella malinconicamente solare di Innsæi portano gli Sketchshow ad inserirsi in quella bolla pop punk e midwest emo prettamente di matrice statunitense (una strizzatina d'occhio ai Paramore forse la possiamo mettere in conto). Ai due estremi troviamo Smoke, spigolosa sia nell'incedere sia nel cantato, il quale si inserisce in modo abbastanza libero e slegato dal contesto strumentale, e Empty Without You, una altrettanto elaborata ballad math rock, ma più lineare a livello cantabile. Waves registra un sensibile incremento nella volontà di presentare una scrittura più avventurosa da parte degli Sketchshow e allo stesso tempo lascia intuire che il gruppo possa ancora progredire oltre.

 

sabato 1 maggio 2021

Altprogcore May discoveries

 

Il quintetto francese Bend the Future si è costituito ad inizio 2019 ma ha già all'attivo due album, il cui ultimo Without Notice appena pubblicato, e qualche singolo. Can Yıldırım (chitarra/voce), Rémi Pouchain (basso), Pierre-Jean Ménabé (sassofono) Piel Pawlowski (batteria) e Samy Chebre (tastiere) formano un virtuoso combo di progressive rock pesantemente influenzato da jazz, oltre che da elementi di musica mediorientale e minimalismo.

 
 
Kinglet è il progetto strumentale del chitarrista Ryan Taylor in cui è coinvolto Kendall Lantz, l'attuale batterista dei The Reign of Kindo e mixato da Adam Bentley, chitarrista degli Arch Echo. Se vi piace lo stile prog fusion di Plini l'EP Tangerine farà per voi.
 
 
 
Le Softcult, ovvero le gemelle Phoenix e Mercedes Arn-Horn, sono salite agli onori della cronaca prima di esordire con l'EP Year of the Rat per una controversia riguardo al loro singolo Uzumaki, accusato di essere un plagio del brano Two Way Mirror dei Loathe. Dopo un confronto senza polemiche con gli stessi Loathe, le Softcult hanno deciso di ritirare il pezzo dall'EP che rimane comunque influenzato dal lato shoegaze del gruppo inglese, oltre che riportare sonorità dreampop e post grunge.
 

 
La presentazione di Multiple Personalities, l'album d'esordio del trio fusion strumentale Coevality, parla di un lavoro scritto nell'arco di dieci anni al fine di limare ogni aspetto e cambio tematico, e le cui sette tracce costituiscono un concept che va interpretato come un'unica suite. Jon Reicher alla chitarra fretless,  Derrick Elliott al basso fretless e Andy Prado alla batteria, mixano elementi metal, math rock, psichedelia e jazz in modo molto professionale e gradevole.

 

Nuovi esponenti di quell'art pop inglese evoluto che ha visto tra le proprie fila Dutch Uncles e Outfit, il quartetto Zoomi si offre come un promettente seguace di un intellettuale, atmosferico ed elettronico indie rock.
 
 
 
I Vatican City Fight Club sono in quattro ma suonano come fossero un piccolo ensemble di chamber rock. Forse merito del virtuoso vibrafonista Sean Alexander Collins, che con il suo strumento aggiunge un tocco di esotismo jazz al math rock molto suadente e atmosferico della band.

 

Aidan Rogers, Keith Rogers, Jack Meidel, Kyle Bosler e Chris Kearney, muscisti attivi e conosciuti nella scena alternativa dell'area di Philadelphia, hanno formato il supergruppo Goings, esordendo con It's For You, un concentrato di piacevolissimo e orecchiabile math pop con qualche gradazione di midwest emo.

 

Humans As Ornaments è un duo tedesco che produce un potente post hardcore a tratti complesso e selvaggio come il mathcore, a tratti art rock ambizioso che pare un connubio tra i primi Biffy Clyro e i norvegesi 22. D'altra parte il loro nome, mutuato da una citazione di un testo dei The Mars Volta, non poteva che tradire tale retaggio.

 

Con il secondo album Point Fingers i belgi The Guru Guru hanno consolidato la loro ricerca nello scrivere canzoni che appartengono alla sfera dell'alternative hardcore, per poi cercare di aggiungerci peculiarità math rock e art rock con la finalità di renderle più personali possibile e fuori dagli schemi prevedibili. 

 

Assertion è la nuova band dell'ex batterista dei Sunny Day Real Estate, The Fire Theft e Foo Fighters William Goldsmith, fondata insieme a Justin Tamminga (voce e chitarra) e Bryan Gorder (basso). Il sound è naturalmente molto derivato dall'emo e dal grunge anni '90, elementi che ne fanno un ascolto di sicuro interesse per i nostalgici di quell'era.

 

Il curriculum del bassista Evan Marien è impressionante: oltre ad essere stato l'ultimo bassista a suonare con Allan Holdsworth, ha anche collaborato con Tigran Hamasyan, Louis Cole (Knower), Jack DeJohnette, Wayne Krantz e molti altri. Nel suo progetto solista in coppia al batterista Dana Hawkins, Marien esplora l'elettronica funk r'n'b e soul in brani pieni di groove e manipolazioni sonore che toccano anche il math rock e la fusion. Un mix che rende Parallels un ascolto variegato ed imprevedibile.

 

Un altro chitarrista prog fusion. Però c'è da dire che, al contrario di molti altri, il misterioso unit.0 con questo suo primo EP non punta esclusivamente sul virtuosismo degli assoli, ma si impegna nel creare un'atmosfera e un mood attravreso progressioni di accordi celestiali e tappeti di tastiere eteree che derivano il sound malinconico della synthwave. 
 
 
 
I This New Basement sono un quartetto del Massachusetts che suona un progressive rock sperimentale nel quale si infilano molte influenze, ma tutto interpretato come fosse una jam band psichedelica che arriva da un universo parallelo. Sembra tutto improvvisato e i cambi di direzione risultano tanto inaspettati quanto assurdamente fuori dagli ordinari schemi armonici.