mercoledì 30 gennaio 2019

Astronoid - Astronoid (2019)


Circa tre anni fa per recensire l'impressione positiva avuta con Air, il debutto degli americani Astronoid, mi dedicai ad un'introduzione dove cercavo di spiegare la dissoluzione di ipotetiche barriere tra generi, vista la singolarità di una band che prendeva dei prototipi strumentali thrash metal e vi aggiungeva delicate voci dream pop che davano un tocco ultraterreno a dei riff sanguigni. Come prendere due estremi e abbinarli.

E' quasi ovvio che con il secondo album dal titolo omonimo quell'effetto sorpresa sia andato inevitabilmente perduto. Quello che gli Astronoid stessi definiscono "dream thrash" porta alle estreme conseguenze il lavoro di gruppi come Alcest e Deafheaven aggiungendoci sognanti voci alla Mew. Astronoid inizia proprio sui passi di Air con gli apripista I Dream in Lines e A New Color, ma questa volta la band sembra aver voluto puntare su una produzione più pulita, dando alle eteree linee vocali di Brett Boland un alone più terreno, ponendole con maggiore nitidezza nel mix.

Fortunatamente il gruppo si dedica poi a provare qualcosa di differente per cambiare traiettoria. Nella scaletta che arriva dopo Lost, una ballad psichedelica che ha a che fare più con lo shoegaze che con il metal, gli Astronoid decidono di mettere da parte le assillanti ritmiche del thrash e le vibrazioni del djent e rivestire tutto con imponenti accordi elettrici che illuminano da parte loro il lato quasi da arena rock della band: se potreste immaginare una versione pop rock di Traced in Air dei Cynic probabilmente avreste una vaga idea di ciò che vi aspetta nelle cavalcate del trittico Fault, Breathe e Water.

Al che, dopo questa sentenza, immagino già qualcuno storcere la bocca, ma in sostanza gli Astronoid sono questi, prendere o lasciare, lo stesso sound intransigente di Air che può convincere o meno è presente anche su Astronoid, solo presentato con minor incisività nelle invenzioni melodiche come appare su Beyond the Scope. I Wish I Was There While the Sun Set è l'apice di questo processo dove i cori che si aprono a grandi spazi sembrano una versione sbiadita delle tracce di Air. L'attenuante però questa volta ci sta tutta ed è più che giustificata in quanto, dopo un'opera prima così peculiare, non era semplice tornare a dei livelli di eccellenza, prendendo pure in considerazione il lusso di superarsi senza ripetersi. Bravi comunque.




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