giovedì 16 marzo 2017

Kodiak Empire - Silent Bodies (2016)


Forse sarà la loro remota posizione geografica che le fa sembrare distaccate dal resto del mondo, forse sarà una effettiva vitalità musicale ma, da qualche tempo a questa parte, le novità più interessanti a livello musicale provengono dall'Australia e dalla Nuova Zelanda. L'ultima scoperta sono i Kodiak Empire, cinque giovani di Brisbane che, dopo il piccolo EP Urashima essenzialmente composto da due brani, hanno esordito l'agosto scorso con il magnifico mini album Silent Bodies, portando alla luce un ibrido alquanto interessante. Diciamo che per descrivere il sound della band è necessario fare riferimento a più fonti come il post hardcore progressivo, il math rock, l'emocore, l'atmospheric metal e aggiungerei anche l'elemento fusion. Quello che ne viene fuori è un sound personale che sembra messo insieme da un patchwork di idee eterogenee che comunque partono da presupposti alternative rock.

Più che chiare le modalità con cui i Kodiak Empire costruiscono i loro brani. I continui cambi di direzione, talvolta completamente slegati tra loro eppure estremamente calzanti nel puzzle sonoro, nascono da improvvisazioni di gruppo nelle quali si possono intraprendere le strade più disparate. Il caos da fuoco incrociato di Ocean and Sky sembra generare anarchia totale anche se, con l'ingresso inaspettato delle tastiere progressive di Josh Engel, tutto prende una piega epica e solenne. Accade pure nelle pulsazioni irregolari di Paso Doble, per gentile concessione delle ritmiche costantemente irrequiete dettate da Benjamin Shannon e dal basso fusion di Jacob Warren, dove gli accordi e gli arpeggi caleidoscopici della chitarra di Joseph Rabjohns rimandano a delle trame da jazz elettrico psichedelico.

La veloce e selvaggia Connochaetes è quasi un'intermissione metalcore avant-garde arricchita con il sax dissonante di John Stefulj e il cantato di Bryce Carleton che si adegua per l'occasione al regime harsh/growl, dall'altra parte, come compensazione, il singolo Sun ripiega su rifrazioni da ballad che si scontrano con groove hardcore funk. Wild Swans inizia immediatamente come un tiratissimo math rock e prosegue in costante mutamento in più direzioni come, d'altronde, fa anche Hakbah, il brano del quale è stato da poco realizzato un video, che si dipana in una valanga di riff robotici tra The Mars Volta e King Crimson che farebbero presagire un seguito dall'alto tasso adrenalinico, ma che invece si risolve in un meditativo avant-core con improvvise accelerazioni metal.  

Silent Bodies colpisce proprio per questa sua ricchezza di contrasti e atmosfere, applicate attraverso idee ben sviluppate che vanno oltre i trentaquattro minuti della sua durata. Nella loro peculiarità l'unico paragone che verrebbe in mente con i Kodiak Empire è quello con gli Oceansize non tanto per l'affinità sonora, ma piuttosto per l'attitudine nel creare qualcosa di personale e variegato che non richiami direttamente a nessun altro gruppo. Per i Kodiak Empire questo rappresenta solo l'inizio e con tali premesse è arduo prevedere come svilupperanno il proprio mix sonoro, ma per ora rimangono la rivelazione del mese, dell'anno, della vita.



Kodiak Empire - Hakbah from Shanahan Flanders on Vimeo.
Kodiak Empire - Sun from Shanahan Flanders on Vimeo.

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