sabato 20 aprile 2019

Periphery - Periphery IV: Hail Stan (2019)


Ave a Stan, ma ave anche alla prima recensione dei Periphery su altprogcore. Meglio tardi che mai, e oltretutto anche con un bel po' di ritardo dall'uscita di Periphery IV: Hail Stan, quando ormai ne è stato detto già tutto, ma se siete qui a leggere queste righe immagino possa interessarvi il punto di vista di questo blog di "periferia". E infatti, partendo da tale assunto, non starò qui a scrivere una classica recensione, tralascerò informazioni che di sicuro avrete già letto (come l'abbandono della label Sumerian Records per mettersi in proprio), ma vorrei rivolgermi ai lettori più affezionati di altprogcore, che ormai penso conoscano i miei gusti e le mie idiosincrasie, per spiegare cosa Hail Stan è stato in grado di far scattare rispetto agli altri cinque album (Periphery IV è di fatto il sesto e non quarto album della band americana come suggerito dal titolo).

D'altra parte il piccolo vantaggio di gestire un blog personale invece che un sito di musica generalista è anche quello di soffermarsi ogni tanto a riflessioni più personali del solito. Iniziamo con l'esternare il perché i Periphery, a differenza di TesseracT e Skyharbor ad esempio, non sono mai comparsi su altprogcore. Il semplicissimo motivo è che li ho trovati sempre troppo estremi e indigesti nell'uso dei growl e harsh vocals, specialmente quando si intromettono nelle pur bellissime tessiture melodiche che il gruppo è capace di creare. Tra i principali gruppi djent i Periphery sono ancora gli unici che nel tempo hanno mantenuto costante questa cifra stilistica senza ricorrere ad un progressivo approccio meno aggressivo della voce, come invece operato dai colleghi di cui sopra. Se quindi questi ultimi si sono evoluti in una direzione, i Periphery da parte loro ne hanno imboccata un'altra, sempre però all'insegna della crescita.

Proprio per questo la percezione dei Periphery rimane ancora così divisiva in generale. Avendo scavato a fondo e inoltre per più tempo nella sfera di tale concezione artistica, ogni passo messo a punto in una direzione che preveda differenti coordinate può far allontanare o avvicinare (a seconda dei casi) i fan più intransigenti. Ma se c'è un album che ha le qualità per far accostare chi finora aveva ignorato i Periphery questo è sicuramente Hail Stan. Facendo leva sul mio debole per il prog non ho resistito nell'ascoltare un album che si apre con una suite di 17 minuti. La produzione in maggiore scala, con tanto di orchestra e cori, applicata alla traccia più ambiziosa della carriera del gruppo fa tanto venire alla mente un paragone con il recentissimo sforzo debordante di Devin Townsend Empath, non solo per l'uso della voce di Spencer Sotelo, ma anche per l'abrasività di certi passaggi chitarristici. Solo che Mansoor e soci non sono dei pazzi megalomani e il loro proposito rimane su binari lucidi che evitano le trappole del kitsch, Reptile rispecchia l'andamento di tutto il disco: "Periphery in a nutshell".

Oltre ad essere un'ottima introduzione alla band, Hail Stan è anche un sunto di quanto hanno avuto e abbiano da offrire i Periphery, qui e ora. Nel senso che il gruppo, durante la sua crescita costante, è arrivato al punto in cui vuole legittimamente spingersi su nuovi parametri senza preoccuparsi di far arrabbiare qualcuno. In questo forse azzarda un po' di più rispetto a Select Difficulty, pur rimanendone un gradino sotto. Se da una parte ci riesce facendo sconfinare il djent nell'accattivante emo rock di It's Only Smiles, dall'altra rimane troppo asettico nel poco esaltante beat electro-industrial di Crush.

E ora veniamo al punto chiave, almeno per ciò che mi riguarda: l'uso della voce da parte di Sotelo. Questa volta le sue parti sembrano finalmente messe nella giusta prospettiva. L'harsh o il growl non giocano quel ruolo assillante che avevano almeno fino a Periphery II e non vanno ad incrinare o intaccare l'armonia di un brano in cui non sono richiesti a causa della loro comparsa improvvisa e del tutto arbitraria, ma appaiono perfettamente contestualizzate nel relativo sviluppo. L'esempio cangiante è Satellites il quale avrebbe potuto proseguire fino alla fine su un sicuro tappeto di armonie suadenti e mistiche come il suo diretto parente e predecessore Lune. Invece il violento squarcio metal che si apre tra le proprie crepe viene preparato, edificato e sostenuto da una dinamica in divenire che aumenta il pathos a livelli epici, giustificandone così la presenza. Per molti Hail Stan ha già raggiunto lo status di miglior album dei Periphery, eppure tra i tanti elogi che sta ricevendo quello più inaspettato è che semina indizi per margini di miglioramento, addirittura.

2 commenti:

Nil0201 ha detto...

L'album mi è piaciuto molto, e ho trovato molto ispirate le canzoni meno djent e più sperimentali.
è dal secondo disco che seguo i Periphery, spero veramente che continuino con questo approccio più sperimentale.
Per fare un parallelo, penso ai Linkin Park o ai Bring Me The Horizon.

Lorenzo Barbagli ha detto...

Mi auguro però che proseguano su una linea più personale, che si distacchi dai due gruppi che citi