venerdì 10 marzo 2023

Periphery - Periphery V: Djent is Not a Genre (2023)


Nel prog, quando una band vuole mettersi alla prova al fine di sfidare le proprie capacità, di solito finisce per produrre una suite o un lungo brano multitematico. I Periphery, dopo aver sondato ogni possibilità del djent - il sottogenere che hanno contribuito a plasmare e popolarizzare -, con Periphery IV: Hail Stan si erano cimentati piuttosto bene in questo compito con il brano Reptile. Adesso, con Periphery V: Djent is Not a Genre, è come se il quintetto si fosse chiesto: "in che modo possiamo superare quella cosa epica che abbiamo scritto?" e la risposta deve essere stata: "molto semplice: scriviamo un intero album in questo modo!"

Se vogliamo stare al gioco di quei mattacchioni dei Periphery, iniziamo con il dire che il titolo è giusto: "djent is not a genre... is a subgenre!". Chiarita questa cosa si può affermare senza ombra di dubbio quanto l'album spinga fortissimo verso una direzione epica, satura e densa sotto ogni aspetto e livello di prospettiva. In tal senso tutti i brani presi singolarmente raccolgono al loro interno un universo di cambi e deviazioni, fraseggi di chitarra spasmodici, qualsiasi sorta di trucco funambolico da guitar hero a loro collegati vi venga in mente, caotici e tempestosi assalti metallici al limite dal cacofonico che mutano all'improvviso in deliziose melodie dalle progressioni imprevedibili ed in quest'ultimo punto la voce incredibilmente deformabile di Spencer Sotelo ne è la protagonista, con il suo passare da ringhiosi harsh e scream a solenni e magniloquenti linee vocali.

E' veramente quasi pleonastico citare le differenze o le peculiarità pezzo per pezzo, poiché ognuno risponde ad una precisa costruzione formale tesa a mostrare la duttilità, la mutevolezza, la versatilità e l'agilità della band nel saltare da un contrasto all'altro, ma tutto costantemente all'insegna dell'eccesso ostentato. Le uniche eccezioni che si immergono in un contesto stilistico ben preciso sono i due poli opposti rappresentati dal math thrash in odore di Car Bomb di Everything is Fine! e il pop new wave di Silhouette, dove qualcuno ha tirato in ballo quasi correttamente l'influenza dei The 1975. Giusto per comprendere il quadro generale di un album che tocca i 70 minuti senza l'aiuto di una suite, in questo capitolo i Periphery rinunciano persino alla conclusiva epic track di rito in forma di ballad malinconica, che nei precedenti album aveva partorito i due diamanti grezzi Lune e Satellites, e preferiscono invece mettere in fila i tre pezzi Zagreus, Dracul Gras e Thanks Nobuo, uno più ambizioso dell'altro nell'alzare l'asticella del frullatore spaccatutto.

Tra i gruppi djent i Periphery sono quelli rimasti più fedeli alla linea, cercando comunque una via coerente nella propria evoluzione e consolidando in ogni caso uno stile ben riconoscibile, grazie ad una sua impronta, tesa a modellare progressioni armoniche di accordi i quali ruotano attorno a bassi in stato di rivolto per creare quel particolare senso di elevazione estatica nel momento in cui il chorus colpisce. Se Hail Stan nella sua coraggiosa natura sfaccettata aveva convinto poco coloro che sono stati i sostenitori dei primi lavori di Misha Mansoor & Co., Djent is Not a Genre è un calderone talmente omnicomprensivo e straripante che riuscirà nel miracolo di mettere d'accordo fan vecchi e nuovi.

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