venerdì 9 novembre 2018

Azusa - Heavy Yoke (2018)


Finita l'esperienza con i The Dillinger Escape Plan il bassista Liam Wilson si è unito ai norvegesi Christer Espevoll (chitarra) e David Husvik (batteria), entrambi provenienti dalla band di thrash metal estremo Extol, per formare gli Azusa. La line-up vede anche la presenza della cantante di origini greche ma tedesca d'adozione Eleni Zafiriadou che rappresenta la vera sorpresa di questo esordio. Ma ci torneremo dopo. Espevoll aveva lasciato gli Extol nel 2004 e si ricongiunge qui al suo ex compagno d'avventura Husvik per ricreare un'intricatissima tela di riff cacofonici e imbizzarriti alla quale il batterista offre l'appoggio e il sostentamento per continue deviazioni ritmiche.

La principale connotazione degli Azusa è il costante contrasto tra elementi di metal estremo e distensioni melodiche in piena coscienza progressive la cui somma delle parti sposa un mathcore portato all'eccesso. Rimanendo fedeli alla concitazione, tutto avviene all'improvviso saltando qualsiasi fase intermedia e anche i brani, nonostante variazioni continue, sono affilati e brevi al punto giusto. In questo frenetico saliscendi la voce della Zafiriadou non è da meno, spingendo la sua interpretazione al limite (ad esempio su Interstellar Islands e nella title-track), attraverso scream efficaci e notevoli rifiniture melodiche nel registro pulito, si allontana considerevolmente dalla sua formazione originale nel duo folk pop Sea + Air, costituito insieme al marito tedesco Daniel Banjamin.

La cosa più lineare ed immediata che gli Azusa offrono è Fine Lines, ma anche qui le cose non funzionano in modo convenzionale, dove la band potrebbe sfruttare un tema pop metal per addentrarsi nelle sue possibilità prog, decide invece di rimanere sotto i due minuti come fosse una pausa all'interno dell'incessante assalto sonoro che prosegue puntualmente con Lost in Ether e nella sanguigna Spellbinder. Programmed to Distress è un altro esperimento ai limiti dell'armonia e della dissonanza con progressioni di chitarra funeree, ma un cantato molto composto. Con architetture estremamente schizofreniche e stratificate Heavy Yoke, nella sua pesantezza, è comunque un lavoro che trova il suo pieno compimento nei contrasti che lo rendono così affascinante oltre che un esperimento prog mathcore simile ad un ipotetico incontro tra Julie Christmas e i Car Bomb.


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