venerdì 2 dicembre 2016

Strobes - Brokespeak (2016)


Uno degli album electro-math-rock più lodati dell'anno (e a ragione) è stato Silent Earthling dei Three Trapped Tigers. Ora, cosa succede se prendiamo il loro chitarrista Matt Calvert e lo poniamo in uno studio insieme al batterista Joshua Blackmore dei Troyka e al tastierista e produttore Dan Nicholls? Probabilmente qualcosa di eccellente. E così è stato con la nascita degli Strobes che, con il loro esordio Brokespeak, rischiano veramente si superare quanto già di buono prodotto dalle proprie band individuali, grazie ad un incremento di complessità formale e una sperimentazione che si spinge oltre i canoni della nostra "comfort zone". Il tutto però viene realizzato dal trio con genialità senza andare a parare in astruse cacofonie, fredda avanguardia intellettuale o dissonanze poliritmiche. In effetti gli Strobes hanno in mente delle melodie ben precise, ma le dissezionano e le deformano con i canoni cubisti del math rock fino a renderle irriconoscibili con l'utilizzo eterogeneo, ma amalgamato in modo naturale, di minimalismo post rock, frammenti di glitch music, solismi jazz, divagazioni prog.

Se in passato questi elementi di elettronica e math rock sono stati singolarmente esaltati a vicenda da altre band dell'ambiente, ora gli Strobes marchiano a fuoco una fusion futurista che sposa un'integrazione equilibrata in ogni sfumatura, nel segno della contaminazione. Nelle note che si confondono tra i beat convulsi e nelle battute che si aggrovigliano nella melodia, i tre musicisti sembrano piegare il tempo e lo spazio (World GB) e, se proprio vogliamo tirare in ballo esemplari sonori, sappiate che, sì, c'è il funk jazz degli Snarky Puppy (Winder), c'è il dub dei De Facto (BRKSPK), ci sono i groove trance dei Jaga Jazzist (OK Please), la psichedelia che si ripiega su se stessa (Kiksin) e l'IDM di Flying Lotus (Guns, Germs and Steel), ma è tutto così ben personalizzato, trascinante e naturale che gli va riconosciuto lo status di unicità. Quindi, senza andare a disturbare paragoni ingiusti, togliamoci dall'impiccio e diciamo trionfalmente che Brokespeak, ammesso che siate prima di tutto dentro al math rock bastardizzato di derivazione Battles e poi all'elettronica sperimentale di Tyondai Braxton, è un album fantastico e imperdibile, a tratti spettacolare.





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