giovedì 4 febbraio 2016

Field Music - Commontime (2016)


Probabilmente ci vuole del tempo anche per ideare musica all'apparenza più disimpegnata del progressive rock. I Field Music, tra un album e l'altro, si prendono sempre tutto il tempo necessario per scrivere delle canzoni pop rock più perfette possibili  e dalla natura intrinsecamente intellettuale. Questa volta i fratelli Brewis hanno atteso quattro anni per arrivare a Commontime. Non che nel frattempo se ne siano stati con le mani in mano: oltre a dedicarsi ad altri progetti musicali - David nel 2014 è tornato al suo School of Language, mentre Peter ha pubblicato un album in collaborazione con Paul Smith dei Maximo Park - l'attesa intercorsa tra Plumb e Commontime è stata mitigata da due uscite atipiche come la raccolta di cover Field Music Play... (2012) e la colonna sonora su commissione (completamente strumentatale) per un documentario, Music for Drifters, pubblicata l'anno scorso in occasione del Record Store Day.

L'impressione è che questa volta, per quanto possa essere strana come affermazione da attribuire ad una band come i Field Music, con Commontime i due abbiano realizzato il loro album più accessibile e immediato dai tempi di Tones of Town. Se Field Music (Measure) era una sfaccettata architettura di art rock multistratificato e Plumb una collezione di melodie orecchiabili in forma di suite, Commontime è un riepilogo di carriera che smussa le invenzioni e si distende su suoni già collaudati, anche se alle canzoni manca un po' di quella solarità propria del gruppo. Certo, le solite ritmiche cadenzate, le polifonie vocali e le melodie piacevoli trasmettono ancora quel senso di spensieratezza presente in ogni brano, però forse è lo strano ripetersi di groove funky abbinati a bordoni di basso che, alla lunga, rende il tutto meno "luminoso", come le leggere dissonanze che scaturiscono da But Not for You e I'm Glad e dalla sinfonia notturna in crescendo di Trouble at the Lights.

Tutto l'album si sviluppa sulla falsariga delle prime due canzoni, il che non vuol dire che sia tutto uguale, ma che si mantiene su una linea stilistica abbastanza uniforme, metaforizzato dal riff mono-nota di The Noisy Days Are Over e l'upbeat dance di Disappointed. Curando ogni dettaglio e levigando i pezzi con attenzione quasi maniacale, i Field Music si avvicinano questa volta all'austerità produttiva degli Steely Dan (Same Name) e alla maestria stravagante del "Wizard-True Star" Todd Rundgren (It's a Good Thing, They Want You to Remember), piuttosto che agli XTC, gruppo al quale i due vengono spesso e volentieri paragonati. I punti più godibili si raggiungono proprio in questi momenti che rispolverano per un attimo sprazzi di post pop retrò che se la giocano bene come Stay Awake, How Should I Know If You've Changed? e Indeed It Is. Commontime rimane comunque un album non del tutto messo a fuoco per un gruppo che quasi mai nei suoi lavori ha sbagliato la giusta dose di ricetta per un pop intelligente e maturo.

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