giovedì 20 ottobre 2011

EVERYTHING EVERYTHING - Man Alive (2010)


Nella pila dei CD arretrati del 2010 è spuntato questo Man Alive che è stata una piacevolissima scoperta. Il problema principale quando ti capita un album come questo è a quale genere far riferimento e in molti, dato l'inaspettato esotismo indie rock della band, si sono rivolti al progressive rock. Credo a malincuore. Perché leggendo in giro per la rete si capisce come il termine progressive sia ancora considerato una parolaccia da certa stampa musicale, in quanto nominato quasi controvoglia in riferimento agli Everything Everything.

Ma, più che il genere, la cosa che mi ha causato più domande è come quattro giovani ragazzi inglesi, indubbiamente musicisti dotati che oltretutto sanno scrivere delle melodie accattivanti, non abbiano ceduto alla tentazione di fare un normale brit pop da classifica. È un po’ come se, durante la composizione di beat ballabili e ritornelli che ti si incollano in testa avessero detto “Ok questo è buono, ma è troppo uniforme e cantabile…ora riscriviamolo in 15/8”. Sì, perché, nonostante si possano sentire qua e là delle influenze da pop elettronico alla Talking Heads o XTC, Man Alive è un signor disco progressive, per quel suo sfizio di smontare e rimontare la materia armonica e rendere così tutto imprevedibile.

Il piacere dell’accumulo è talmente barocco e caleidoscopico che crea un’aspettativa tale da sembrare di assistere ad un gioco di prestigio continuo. A livello sinestetico lo si potrebbe descrivere come un arcobaleno riflesso in uno specchio in frantumi. Tanto che quando arriva un brano come Two for Nero (un adagio per spinetta rinascimentale!) stai in attesa che esploda da un momento all’altro e invece fila via con una linearità quasi in contrasto con il resto del lavoro e alla fine ci si chiede “tutto qui?”. D'altra parte come si fa a non abituarsi alle svolte improvvise quando arriva un brano incredibile come Schoolin', che si apre su un tema dance tribale e, senza strappi, approda ad un funk ultra sincopato.

L’elemento che può risultare più estremo è la voce di Jonathan Higgs che la si può amare o odiare, utilizzata come un meccanismo sobbalzante che passa dal registro normale al falsetto con spietata freddezza. Da par suo la musica della band è molto originale, anche se si leggono i paragoni più disparati e, tra tutti i nomi, quelli che mi hanno colpito di più erano i King Crimson, gli Yes e i Gentle Giant (non a caso tutti artisti progressive), gli ultimi due scelti forse per l’affinità con le polifonie vocali. La verità è che gli Everything Everything pescano un po’ ovunque - dall’elettronica del primo Peter Gabriel a tutta l’ultima musica afro americana r’n’b/funk/soul, dall’indie pop alla world music - rimaneggiandolo nel loro idioma inedito di sperimentatori pop.

L'unica cosa che posso dire a riguardo è che a me sembrano l'equivalente art-rock degli Oceansize. Attenzione: delle sonorità di questi ultimi non hanno alcunché (anche se il crescendo di Weights è molto affine con l’epica oceansizeiana), ma il modo di architettare le trame scombinate è molto simile. Stranamente alla critica british più cool (NME, Mojo) è piaciuto, cercando vanamente di collocarli vicino ad altri gruppi della new wave alternativa inglese. Ma credo bastino alcuni ascolti per capire che la distanza che separa gli Everything Everything dagli altri sia siderale. Il successo delle chart, come naturale, non sarà assicurato, ma, per contro, quello artistico sicuramente.



www.everything-everything.co.uk

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