martedì 23 febbraio 2010

Field Music - Field Music (Measure) (2010)


Ci sono due metodi per saper scrivere una canzone pop. Il primo, che è il più lungo ma anche il più scontato, è prendere il manualetto degli ultimi quaranta anni di musica pop britannica e studiarsi Beatles, David Bowie, Rolling Stones, Supertramp, Oasis, ecc. Il secondo è passare direttamente al riassunto e ascoltarsi gli XTC. Operazione altamente rischiosa per chi è abituato ad affidarsi esclusivamente a ciò che offrono le frequenze radiofoniche, dato che può portare a scoprire del pop più intelligente della media e per questo tendente ad alienare potenziali acquirenti.

I Field Muisc, nati nel 2004 per mano dei fratelli Peter e David Brewise con due gradevolissimi album alle spalle (più una raccolta di b-sides), sin dall'inizio della loro carriera hanno voluto seguire la seconda strada che finalmente li ha portati a questa terza prova in modo compiuto. Il lavoro è stato molto meditato, dato che i fratelli Brewis si erano concessi una pausa per dedicarsi a progetti paralleli (The Week That Was e School of Language), per poi tornare come un fiume in piena con questo doppio album. Sfido chiunque si senta orfano di Andy Patridge e Colin Moulding a non emozionarsi ascoltando la musica contenuta su Field Muisc (Measure). Come giustamente alcuni hanno osservato, ogni brano, nei suoi intarsi melodici, fa pensare a due o tre canzoni messe insieme e ognuno di essi, nella loro breve durata, disorienta continuamente. Le canzoni sono costruite su una sorta di anti-climax dove il ritornello non è quasi mai presente, come nella inaugurale In the Mirror, o comunque è ben camuffato.

Lo spirito di English Settlement e Skylarking percorre tutte le tracce, ma quelle che colpiscono immediatamente sono Effortlessly e Clear Water con la sua scombinata ritmica. Mentre su Measure affiora anche abbastanza chiaramente il pop orchestrale di Apple Venus vol.1. Una sottile linea continua comune porta verso Todd Rundgren sia in versione pop (Them That Do Nothing) che psichedelica (Lights Up), ma anche verso il prog rock degli Yes nei riff sbilenchi e nei cori di All You'd Ever Need to Say. L'unico rimprovero che si può fare ai Field Music è di essere troppo concisi nei loro gustosi ed imprevedibili gioielli pop. Neanche il tempo di assaggiarli e sono già finiti. Sarà forse proprio questo il fascino che li fa desiderare ancora e ancora, come un dolce squisito del quale non si può fare più a meno.

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