venerdì 26 aprile 2013

Intervista a West Thordson (A Whisper in the Noise)


Una dolcezza sconfinata e uno strazio a portata di mano. Melodie sussurrate piano quasi a voler illuminare il buio nelle nostre notti più disparate e quella dolcezza che sa di dolci ricordi di un amore passato.

Tutto questo è la musica degli A Whisper in the Noise di West Thordson. Nati nel lontano 2002 in Minnesota e con l’attivo cinque album del quale consiglio As the bluebird sings , sono una band di difficile identificazione e collocazione, ma assolutamente meritevole di essere conosciuta.

West come un po’ tutti gli artisti depressi è un uomo schivo perfino quando gli si chiede com’è stato lavorare con quel guru di Steve Albini per la registrazione di "Through the Ides of March", quindi rimane il rammarico di non aver approfondito la sua conoscenza e poter pubblicare solo poche righe che spero possano essere riempite dalla sua musica.



Quando nacque il progetto degli A Whisper in the Noise? Con che musica sei cresciuto?
Iniziai a lavorare al progetto degli A Whisper in the noise all’età di 19 anni dopo aver ascoltato artisti come Brian Eno, Arvo Pärt, Philip Glass, Pink Floyd, Paul Cantelon.


A Whisper in the Noise è quasi un nome per una band metal… come nacque l’idea di chiamarvi così e come scegliete titoli così originali per i vostri album?
Infatti… ho ascoltato moltissimi bands metal e nella zona di Mankato dove crebbi, moltissime band facevano metal. A whisper in the noise mi sembrava una dichiarazione molto poetica quand’ero giovane. I titoli sono attestati di sincerità verso il nostro pubblico


Com’è stato lavorare con Steve Albini per Dry Land?
In poche parole: un sogno che diventa realtà.


Credi che la tristezza sia la miglior fonte dì’ispirazione per creare un capolavoro?
No. Un capolavoro è semplicemente qualcosa di preciso.


È giusto dire che nelle vostre canzoni non c’è un dolore o una tristezza universale, ma solo una forte presa di coscienza del dolore?
Assolutamente sì.


Per creare una canzone.. preferisci concentrarti prima sulla musica o sui testi?
Sono una persona molto umorale quindi dipende da come mi sento


Cos’è cambiato dall’ultimo album To Forget? Come nacque la scelta di non usare la batteria?
La band non esisteva più. Restavamo solo io e Sonja, ma la musica continuava a funzionare.



Qual è la situazione in cui immagini un tuo ascoltatore?
Riesco solo ad immaginare qualcuno che è alla ricerca di qualcun’altro o qualcosa.


Hai mai pensato di cambiare o stravolgere qualcosa all’interno delle tue canzoni per cercare di stupire maggiormente i tuoi fans?
A dire il vero mai poiché non mi è mai sembrato di appartenere ad un genere ben definito.


Qual è la tua partner musicale preferita: Sonja Larson o Hannah Murray?
Senza ombra di dubbio Sonja.


In Italia vi vedremo mai?
Adoro il vostro paese e spero davvero tanto, tantissimo, di venirci a suonare.
Grazie, Francesco!!



http://www.awhisperinthenoise.com/


Intervista e traduzione a cura di
Francesco Notarangelo

domenica 21 aprile 2013

Their / They're / There - Their / They're / There EP (2013)


Their / They're / There è un trio di Chicago che potrebbe essere considerato come un piccolo supergruppo di indie math rock, dato che comprende Evan Weiss (basso, voce) - una vecchia conoscenza di questo blog, intestatario del progetto Into It. Over It. - Mike Kinsella (batteria) - degli Owen e American Football - e Matthew Frank (chitarra) - dei Loose Lips Sinking Ships.
Il loro primo EP di sei tracce è uscito in un'edizione limitata di 1000 copie in vinile per il Record Store Day e, ascoltando il materiale, ci si trova molto vicino a ciò che ha prodotto Weiss con Into It. Over It. e Kinsella con gli American Football.

Sul sito di Rolling Stone è possibile ascoltare in steraming il brano Concession Speech Writer, mentre di seguito c'è la traccia di apertura Their / They're / Therapy.



http://www.tttmusic.com/

sabato 20 aprile 2013

Song of Return - Singles Club Month 1 (2013)


Avevo conosciuto i Song of Return qualche anno fa grazie ad una segnalazione degli The Unwinding Hours (loro conterranei scozzesi). Il disco d'esordio dei Song of Return, che mescolava elettronica e alternative rock, risale a due anni fa e si intitola Limits, adesso tornano con questi due brani dove l'ottima Torn Between the Tides fa da guida.






venerdì 19 aprile 2013

Intervista a Thalia Zedek



Una rabbia urlata a squarciagola, una voce simile alla migliore Courtney Love e testi che narrano un’esistenza ai limiti e la sua musica che, da sempre, ha rappresentato l’unica e vera salvezza ai suoi tormenti.Tutto questo è Thalia Zedek, artista americana che nella sua esperienza ventennale ha percorso più stili ed esperienze del rock. Dopo aver fondato e sciolto svariati gruppi anche solo nell’arco di un ep o un album, giunge al meritato successo con i Come con cui inciderà quel capolavoro che risponde a Don’t ask, don’t tell. L’esperienza con i Come terminerà nel 1998 con all’attivo quattro album e da allora Thalia si è dedicata al progetto solista col quale tende ad allontanarsi dagli stereotipi della forma classica della canzone (strofa, ritornello, strofa).
Una breve chiacchierata con Lei utile, soprattutto, a far conoscere ai lettori di Altprogcore quest’imperdibile artista.


Chi era e chi è, ora, Thalia Zedek?
Quand’ero giovane ero una persona molto arrabbiata e astiosa; ora, pensando a quel tempo, sono una Thalia molto diversa nonostante soffra ancora di alcuni miei momenti “particolari”. Come moltissime persone credo di essere meno angosciata rispetto ai miei vent’anni.


Cos’era e cos’è la musica per te? Credi che la musica sia un mezzo per esorcizzare le paure, le preoccupazioni e i demoni interiori? O è solo qualcosa di più semplice?
Credo che per me la musica sia qualcosa di più semplice ed edonistico. Fondamentalmente per me è un gioco e il semplice atto di suonare ed ascoltare musica è qualcosa di piacevole, sia fisicamente che spiritualmente. Ecco perché lo faccio, perché mi fa sentire bene.


Com’è la scena musicale di Boston?
A Boston esiste una scena piuttosto dura e viva. Ci sono così tanti collegi ed università che tutti vogliono suonare e conoscere nuovi gruppi e se uno lo volesse, potrebbe ascoltare musica dal vivo 7 giorni su 7. Alcune delle mie band preferite sono Ho-Ag, The Proselyte, Fur Purse and Banditas.


Era difficile convivere con un gruppo composto di sole femmine come i Dangerous Birds?
Non sarebbe corretto dire che era difficile suonare in un gruppo prettamente femminile. Credo che fossero presenti le classiche differenze tra uomo e donna. Forse noi donne siamo più portate ad essere più amichevoli e sensibili nei confronti delle componenti del gruppo.


Possiamo dire che prima e durante il periodo con i Come la musica era un’espressione per urlare la tua rabbia e poi qualcosa è cambiato poiché l’atmosfera, nei tuoi ultimi lavori solisti è diversa?
Ho svolto un duro lavoro per ampliare le mie emozioni rispetto al periodo Come. Ritengo che la rabbia sia un’emozione potente, ma anche molto superficiale. Ciò che si nasconde sotto la rabbia, invece, è molto più complesso ed interessante da raccontare ed è ciò che voglio fare in questi tempi.


Si può dire che negli ultimi lavori stai cercando ed usando alcune espressioni nude, prendendo distanza dalle forme tradizionali della canzone (verso, coro, verso)?
Credo che sia una buona osservazione. Ero molto interessata a creare canzoni melodiche e semplici specialmente per il mio primo lavoro solista dopo i Come. Forse ciò era solo un riflesso di aver suonato la chitarra e urlato così tanto durante il periodo dei Come. Preferivo suonare piuttosto che urlare o cantare. Penso, però, che, ultimamente, mi sia spostata da quest’idea preferendo esplorare la meraviglia della musica.


È vero che in alcune canzone possiamo intravvedere le tue preferenze sociali e politiche come in Liars and Prayers? Hai criticato più volte George Bush…cosa pensi di Obama?
Ho detestato in modo molto profondo la politica e il personaggio di George Bush. Credo che Obama sia più valido come personaggio politico ed infatti mi trovo d’accordo con molte sue idee come il voler migliorare l’America. Ero estremamente felice quando venne eletto per la seconda volta.


La tua voce è molto particolare; mi piace pensare che la voce di un’artista non sia un tratto psicologico, ma lo specchio dell’anima… che ne pensi?Credo che sia entrambe le cose. Penso sia collegata anche all’aspetto fisico e la voce di ciascuno è totalmente unica rispetto alla musica che fa. Ma forse come e che cosa quella voce esprime è altrettanto importante in termini di suo effetto sull’ascoltatore.


In termini di creazione e registrazione cos’è cambiato durante questi anni?
Il mio metodo di composizione non è cambiato troppo durante questi anni. Ancora adesso parto da un’idea musicale che arriva quando strimpello la mia chitarra. Sebbene la registrazione sia in costante evoluzione così come la tecnologia, io preferisco ancora il processo analogico per quanto possibile.


Come, quale significato possiede questo nome?
Era un nome sul quale eravamo tutti d’accordo poiché possedeva svariati significati e ci piaceva moltissimo. A dire il vero ho sempre pensato a questo nome come a un piccolo segno nel nostro tragitto o ad un invito.
I Come stanno organizzando alcuni shows in Europa inclusa l’Italia a Giugno e suoneranno con una prestigiosa reunion degli Eleven Eleven che usciranno il 21 di Maggio. Nonostante questa comparsata, non abbiamo progetti di ricominciare un nuovo percorso con i Come.


La tua carriera è iniziata da giovane con i Dangerous Birds e continua a ora. Immagino tu conosca un sacco di musica. Puoi dirmi qualcosa a riguardo?
In questo periodo mi piace moltissimo Carla Bozulich ed anche i Low (con i quali sono in tour), i Dirty Three e anche alcune pietre miliari come John Fahey e Neil Young.


Parlaci dei tuoi nuovi progetti.
Sono molto contenta delle nuove canzoni ed ho anche avviato una nuova collaborazione alla quale sto lavorando, nonostante questo gruppo sia ancora in tour. Ora che Via è stato pubblicato, mi sto concentrando sulla nuova collaborazione e sui prossimi shows dei Come.

Intervista e traduzione a cura di
Francesco Notarangelo

giovedì 18 aprile 2013

Owel - Owel (2013)


Gli Owel sono un gruppo del New Jersey che esordisce con un album omonimo davvero interessante. Echi di post rock, alternative, shoegaze e Radiohead si condensano nelle undici tracce, le quali, per le loro trame malinconiche ed eteree chiedono un ascolto assorto e partecipe.

Non c'è dubbio che Owel è un'opera che cresce ad ogni ascolto. Al gruppo piace far partire i brani con delicatezza, costruirli con pazienza e irrompere in crescendo memorabili. Una prima prova davvero promettente.


www.owelband.com

lunedì 15 aprile 2013

DISPERSE - Living Mirrors (2013)


C'era una volta una schiera silenziosa di ragazzini chiusi nelle loro camerette che passavano il tempo a masturbarsi con la chitarra, studiando a memoria i riff sincopati e le poliritmie dei Meshuggah. Quando infine questi teenagers uscirono allo scoperto è venuto fuori che erano diventati bravi per davvero, funamboli della 7 o 8 corde, hanno formato le loro band, firmato contratti e addirittura definito un sottogenere. Leggenda vuole che fu proprio il chitarrista dei Meshuggah, Fredrik Thordendal, a battezzare questa nuova ondata di prodigi del prog metal con il nome di djent. Evidentemente si pensava che gli stilemi djent fossero talmente definiti da aver bisogno di un ulteriore appellativo che ne certificasse l'emancipazione da generi come progressive metal e tech metal.

Tra i pionieri di questo fenomeno si segnalarono gli statunitensi Periphery e gli inglesi TesseracT, che nel tempo sono divenuti anche i gruppi più famosi e rappresentativi. A testimonianza che anche il djent è diventato globale, uno dei tanti ragazzini di cui sopra si è palesato dalla sua stanzetta in Polonia, terra che ultimamente è fucina inesauribile per il progressive rock. Jakub Żytecki si esibiva nei suoi virtuosismi chitarristici caricandoli su YouTube sin dalla tenera età di 15 anni. Una volta trovati altri tre musicisti con abilità tali da poter suonare musica tanto complessa sono nati i Disperse. L'esordio avviene nel 2010 con Journey Through The Hidden Gardens dove il gruppo sembra una versione dei Marillion intenta a suonare progressive metal, tanto da non potersi considerare propriamente djent. Il salto siderale fatto adesso con Living Mirrors è impressionante.

Il primo punto a favore dei Disperse è la decisione di utilizzare la voce clean come si dice in gergo, ovvero cantare senza l'ausilio dei growl. A questo punto è bene precisare che non sopporto il cantato growl. Per quel che mi riguarda i Periphery o i Meshuggah se ne potrebbero uscire con le più belle melodie del mondo, ma nel momento che compaiono i growl per me equivale a gettare un secchio di vernice contro il quadro della Gioconda. Oltre a ciò, Żytecki dimostra di essere un fine compositore e tutto il gruppo ha una preparazione tecnica impressionante nonostante la giovane età - esecutori impeccabili di molteplici cambi formali, poliritmie al limite del macchinoso ed ogni sorta di virtuosismo. Nel gusto compositivo del chitarrista trapelano tracce di Steve Vai e Allan Holdsworth e il suo miglior pregio è quello di innestare intermezzi fusion di gran classe in un'ossatura metal troppo melodica per ricordare i Cynic, ma anche troppo complessa ed ingegnosa per ricordare i TesseracT.

Il livello di complessità, una produzione satura e le varie stratificazioni sonore candidano i Disperse a divenire l'equivalente djent dei Pain of Salvation. Le parti più aggressive sono smorzate da un costante tappeto ambient, mai invadente, creato a dovere dalle tastiere di Rafał Biernacki. Quest'ultimo contribuisce ulteriormente ad equilibrarle con la sua voce che, pur non arrivando ai toni stentorei dei colleghi, è espressiva e crea ottimi spunti melodici. Anche il chitarrismo di Żytecki sa inserirsi bene nella cornice totale senza spendersi in furiosi e sguaiati shred metallari.

La prerogativa del djent, e quindi anche dei Disperse, sembra essere quella di spingere il progressive metal a latitudini di virtuosismo inaudite. Venti anni fa ci sembravano eccelse le basi poste dai Dream Theater, ma l'arrivo di questi gruppi ha sancito un aggiornamento del genere ad una versione 2.0, tecnicamente parlando. Detto questo uno si immaginerebbe Living Mirrors come un concentrato di algidi sfoggi di tecnica e di bravura. Niente di più lontano dal vero. I Disperse sanno calibrare cuore e mente, conseguendo il non facile compito di non far sopperire la melodia sotto i colpi del tecnicismo.

Se siete dei puristi e pensate che il progressive metal non abbia bisogno di sottogeneri per esprimersi in pieno, Living Mirrors magari non vi stupirà, ma sarà sicuramente tra le cose migliori che sentirete quest'anno. Se, al contario, pensate che il djent sia un sottogenere con delle caratteristiche proprie e ben definite, allora Living Mirrors rappresenta un futuro classico da non perdere.



venerdì 12 aprile 2013

MOTORPSYCHO - Still Life with Eggplant (2013)


Prima di tutto un cenno storico. Comunque la si pensi sulla loro musica, piaccia o meno, i Motorpsycho meritano rispetto da chiunque. Che io sappia è l'unica band al mondo che non ha mai avuto una piattaforma ufficiale sul web di qualsivoglia tipologia, fatta eccezione per una pagina MySpace mai aggiornata e ormai caduta in prescrizione. I Motorpsycho hanno sempre resistito alle tentazioni del mondo digitale, lasciando che fossero i fan, con cura e devozione, ad occuparsi della creazione di pagine web a loro dedicate. E, pure restandosene defilati, Bent Saether e Snah Ryan sanno di essersi conquistati durante gli anni una schiera di fan inossidabili, che li segue anche senza l'aiuto di Internet. Questa cosa la dice lunga sulla concezione del businness musicale del trio norvegese, una visione artigianale vecchio stampo che si riversa anche nella loro musica che attinge a piene mani dagli anni d'oro del rock.

Da oltre vent'anni il mezzo privilegiato per conoscere e amare i Motorpsycho sono i concerti, dove la band ogni volta spende tutte le proprie energie per regalare grandi emozioni al suo pubblico. Considerata anche la loro prolificità, si può aggiungere che non è da tutti essere ancora insieme dopo tanto tempo sulla breccia, alternando studio, viaggi da un palcoscenico all'altro e promozione, in una girandola che sfiancherebbe anche il più consumato rocker. Da tutto questo trapela una voglia di suonare e fare musica che denota da parte loro una sincerità e una passione non comuni.

Per le registrazioni di Still Life with Eggplant i Motorpsycho sono tornati ai mitici Brygga Studio di Trondheim - gli stessi che diedero i natali a Timothy's Monster -, hanno ingaggiato come ospite il chitarrista Reine Fiske - praticamente una leggenda del prog svedese che ha militato in band come Landberk, Paatos e Dungen - e infine si sono accontentati di una durata più contenuta del solito (45 minuti circa). L'ispirazione al rock classico del passato, che da sempre anima la musica dei Motorpsycho, si adagia questa volta sull'America degli anni '60, continuando grosso modo il discorso di Heavy Metal Fruit, ma senza la verve di un tempo.



Un riff mortifero apre Hell, Part 1-3, trasformandosi nell'hard blues che ormai ha suggellato le ultime uscite degli psychonauti da Little Lucid Moments a Heavy Metal Fruit. L'unica nota di distinizione sono delle linee vocali che fanno sembrare il pezzo un garage rock cantato dagli Yes. La coda finale, con il fill di batteria e il groove di basso e chitarra, è piuttosto sconclusionata e inutile. Molto, molto raramente i Motorpsycho hanno inserito delle cover nei loro album e questa volta hanno deciso di includere August dei Love. Una scelta singolare che però, alla luce dei fatti, si sposa bene con l'estetica del trio in quanto l'originale è fondamentalmente un rock country blues con un sound e divagazioni strumentali che i Motorpsycho avranno sicuramente studiato tanto sono simili alle loro ultime cose.

Barleycorn (Let It Come, Let It Be) e The Afterglow sono dei brani di folk psichedelico, alquanto incolori e poco incisivi, che si ricollegano ancora all'estetica americana del vecchio flower power. Il fulcro dell'album è rappresentato dai 17 minuti di Ratcatcher che indulge di nuovo su improvvisazioni e lunghe divagazioni strumentali (dal retrogusto jazz). Un tempo i Motorpsycho preferivano (giustamente) relegare questi vezzi alle esibizioni live, dando agli assoli in studio un'architettura ben definita che poi veniva puntualmente destrutturata in fase di esibizione. Da un po' di tempo questa pratica ha preso prepotentemente piede anche in studio con l'effetto pericoloso di provocare noia. Pensavo che con Heavy Metal Fruit i Motorpsycho si fossero saziati, invece non è stato così e ci hanno regalato un nuovo album fotocopia.

Il vero rimpianto riguarda lo svanimento di quell'eccitazione che corrispondeva ad ogni nuova uscita, derivata dall'imprevedibilità della direzione musicale che il gruppo avrebbe intrapreso. Fatta eccezione per il monumentale concept uscito lo scorso anno, i Motorpsycho stanno percorrendo ormai una strada che riporta sempre nello stesso punto. La pecca principale di Still Life with Eggplant è quella di non contenere un vero brano guida, un climax o qualcosa che spicchi veramente e che possa andare ad aggiungersi ai tanti cavalli di battaglia del gruppo. Tutto appare sbiadito un po' come lo era It's a Love Cult, facendo risultare ancora più impersonale e derivativa la loro formula. Diciamo che Still Life with Eggplant non sarà da annoverare tra le migliori pubblicazioni all'interno dell'estesa discografia dei Motorpsycho.

giovedì 11 aprile 2013

Hidden Hospitals - live @ Quiet Country Audio


Gli Hidden Hospitals, che tra l'altro hanno appena pubblicato una versione in vinile dei due EP da loro prodotti, hanno reso disponibile un breve live in studio tenuto al Quiete Country Audio sia in versione video che in versione audio.








http://music.hiddenhospitals.com/

mercoledì 10 aprile 2013

Arcane Roots - Blood & Chemistry (2013)


Arrivano finalmente all'esordio discografico - dopo l'EP Left Fire - gli inglesi Arcane Roots con Blood & Chemistry in uscita il 6 maggio. In anteprima il gruppo ha reso disponibile due brani, il singolo Resolve e proprio oggi hanno lanciato il video di Slow. Quest'ultima in particolare è una canzone che parte come una versione pop del post hardcore, in seguito, nel finale, si dipana in una serie di cambi tematici che ricordano i Biffy Clyro. Il trio ha da qualche tempo stretto amicizia anche con i norvegesi 22 e non mi stupirei se all'interno di Blood & Chemistry si trovassero alcune affinità tra i due gruppi.

Tracklist:

1. Energy Is Never Lost, Just Redirected
2. Resolve
3. Belief
4. Sacred Shapes
5. Hell & High Water
6. Triptych
7. Slow
8. Second Breath
9. Help Like Kytes
10. You Keep Me Here





http://www.arcaneroots.co.uk/

martedì 9 aprile 2013

Cyril Snear - Riot of Colour (2013)


Vi avevo presentato i Cyril Snear all'indomani dell'uscita del singolo How Presidential of You. Il 15 aprile esce il loro secondo album in studio dal titolo Riot of Colour che potete ascoltare in anteprima streaming di seguito. L'album racchiude un math rock psichedelico che alterna momenti decisamente hard a distensioni acustiche, fino ad arrivare a commistioni elettroniche. Per certi versi mi ricordano i Djam Karet, fatta eccezione per il cantato ovviamente, ma sono impressioni personali.



http://www.cyrilsnear.com/
http://cyrilsnear.bandcamp.com/album/riot-of-colour

domenica 7 aprile 2013

Jaga Jazzist Live with Britten Sinfonia (2013)


Uscirà il 6 maggio il primo album dal vivo dei norvegesi Jaga Jazzist e sarà un live alquanto particolare in quanto riporta una serata tratta dai concerti tenuti con l'ensemble Britten Sinfonia, registrata nel settembre 2012 al Rockefeller di Oslo. Aggiungendo al loro repertorio un tocco orchestrale, sicuramente il disco non mancherà di sottolineare quegli aspetti prettamente sinfonici ed estremamente versatili del moderno alt-jazz dei Jaga Jazzist - che negli anni è stato contaminato dai più svariati generi come post-rock, elettronica e, più ampiamente, musica sperimentale. Per farsi un'idea del contenuto basta ascoltare il lungo pezzo di apertura del disco One-Armed Bandit.



Tracklist:

1. One-armed Bandit
2. Kitty Wu
3. Prungen
4. Bananfluer Overalt
5. For All You Happy People
6. Toccata
7. Music! Dance! Drama!
8. Oslo Skyline

http://jagajazzist.com/


mercoledì 3 aprile 2013

SANGUINE HUM - The Weight of the World (2013)


Prosegue la singolare storia musicale di Joff Winks e Matt Baber, arrivati al secondo album con il nome di Sanguine Hum, ma che in realtà producono musica da più di un decennio e che solo qualche anno fa hanno adottato l'attuale sigla. Senza particolari traumi i due, insieme al bassista Brad Waissman e al batterista dimissionario Paul Mallyon (ora nei Thieves' Kitchen e sostituito da Andrew Booker dei No-Man), con il precedente Diving Bell avevano smussato gli angoli più prog-canterburyani degli Antique Seeking Nuns, scommettendo su una formula di prog più fluida e adattabile ai tempi. Un restyling che, nei piani di Winks e Baber, dovrebbe rendere più accessibile la loro proposta.

Adesso, con The Weight of the World, il quartetto di Oxford riparte da quelle premesse, ma vi aggiunge complicazioni formali, tempi dispari e armonie, sempre orecchiabili, ma volutamente imprevedibili. In pratica è come una versione degli Antique Seeking Nuns sotto la prospettiva del post progressive. In effetti l'album, che esce per l'etichetta Esoteric Antenna, non avrebbe sfigurato accanto alle pubblicazioni di casa Kscope, mostrando una sensibilità e filosofia molto affine a quelle band responsabili di aver creato, piaccia o meno, un filone stilisticamente coerente ed omogeneo.

Il metodo di scrittura della band si basa molto spesso sulla reiterazione di arpeggi - talvolta di chitarra, altre volte di tastiere - sopra i quali il gruppo lavora applicandovi ritmiche spezzate, suoni elettronici e fraseggi in primo piano o sottotraccia, anch'essi ripetuti, che fanno da colonna vertebrale a tutte le composizioni. Le premesse sono affini al minimalismo, ma rilette in chiave progressive rock naturalmente, L'esempio lampante di tale approccio ci viene fornito dalla strumentale In Code fondata su una serie di temi al piano elettrico di Baber: un jazz rock zappiano non molto dissimile dal progresssive canterburiano di matrice canadese.



Oppure questa condizione viene dispiegata ancora meglio dalle spore circolari di Day of Realese dove si sente un forte influsso dell'eredità di Steve Reich. System for Solution alterna una parte elettrica - nella stessa vena di No More Than We Deserve - ed un ritornello più riflessivo, intermezzati da delle belle parti strumentali con chitarre soniche e synth spaziali.I paragoni con Radiohead e Porcupine Tree comparsi nelle note di produzione mi appaiono sinceramente un po' forzati. A parte qualche beat elettronico o spunto melodico che possa ricordare vagamente gli approcci dei loro conterranei, i Sanguine Hum hanno abbastanza stimoli da risultare emancipati all'interno dell'attuale scena progressiva-alternativa.

Quello che manca ai Sanguine Hum è semmai un songwriting più incisivo e deciso. Se infatti una critica si può muovere a The Weight of the World è che i suoi brani danno l'impressione che si cerchi di renderli complicati a tutti i costi, sforzandosi di usare il più possibile segnature inusuali, risultando pertanto innaturali. Il risultato è che essi non coinvolgono mai fino in fondo, almeno non come quelli del precedente Diving Bell. Anche i brani con caratteristiche da singoli, come l'electro pop rock di From the Ground Up o Cognoscenti, laciano dietro di loro un senso di irrisolto, come se il proprio potenziale non venisse sfruttato in pieno. Per fortuna che nel finale arriva il pezzo forte di tutto il lavoro rappresentato dai quasi 15 minuti della title-track (in tre parti), dove si rifanno vive quelle interferenze tra scuola di Canterbury e Frank Zappa che tanto ci avevano deliziato nell'ultimo EP degli Antique Seeking Nuns (Careful! It's Tepid).



http://troopersforsound.com/

martedì 2 aprile 2013

THE DEAR HUNTER - Migrant (2013)


Ogni qual volta mi capita di parlare o recensire un nuovo lavoro dei The Dear Hunter devo fare uno sforzo per trattenere la mia vena polemica nei confronti di riviste, o settimanali e quotidiani di gran distribuzione che, saltuariamente, tra le pagine musicali, scrivendo un articolo - che so, ad esempio - sui Mumford & Sons, credono di segnalare il fenomeno alternativo-indipendente del momento, cercando di passare per dei fighi e mettersi a posto con la coscienza. La cosa che più mi infastidisce è che si tenta di attribuire a questa gente anche un minimo di talento, quando invece hanno solo un ufficio stampa e dei manager più efficaci di altri. Il vero peccato di questo meccanismo perverso è che personaggi di genuino talento come Casey Crescenzo (ovvero il titolare della sigla The Dear Hunter) rimangono penalizzati ad attendere che qualcuno si accorga di loro in un sottobosco ancor più riparato dalla fama.

Detto questo e alla luce da quanto prodotto sinora da Casey Crescenzo, posso affermare che egli è a tutt'oggi il miglior cantautore e/o autore di progressive rock della sua generazione, non solo della scena statunitense, ma mondiale, riuscendo a svettare in questi due ruoli ben distinti. Ho citato il paragone con  il successo mainstream di gruppi alternativi poiché la musica di Crescenzo possiede una potenzialità trasversale da poter compiacere un pubblico più vasto rispetto a quello a cui è relegato in questo momento. Una cosa che Migrant potrebbe conseguire grazie alle sue melodie pop, dolcemente romantiche e ambiziose, che qualcuno potrà trovare oltremodo zuccherose. In tal senso Crescenzo si distacca dal concept barocco degli Act I-III nella forma, ma non nella sostanza, applicando quegli arrangiamenti fastosi a normali canzoni.

Crescenzo è in pratica l'unico ad avere introiettato la lezione delle musica popolare americana, nell'accezione più ampia del termine, commistionandola con il rock alternativo e progressivo attraverso una personale liricità e sensibilità finora ineguagliate. L'unico che abbia veramente aggiunto a questi generi qualcosa di individuale e riconoscibile. Le sue composizioni spaziano con versatilità e varietà in una ricognizione a tutto tondo della scuola di tradizione americana, figlie dirette di Tin Pan Alley, del musical più classico e delle solari armonie della West Coast anni '60.





Migrant è come un compendio degli stilemi già toccati sul monumentale progetto The Color Spectrum e ci consegna un songwriter sicuro dei propri mezzi che sa maneggiare la materia musicale da consumato arrangiatore. Crescenzo mette qui in gioco tutta la sua abilità orchestrale, dando vita ad una serie di canzoni raffinate ed emozionanti, tra le quali l'anticipato singolo Whisper è il coronamento di tanto splendore. L'inaugurale Bring You Down, ad esempio (con tanto di archi e ottoni), è fondata su delle dinamiche in crescendo le cui varie sezioni melodiche sono architettate per provocare emozioni e stupore mano a mano che la canzone si sviluppa e si rivela. Shame è un incrocio tra musical e soul music, con una elegante linea di violini che fa da sfondo ad un motivo sensuale e misterioso. D'altro canto tale compendio ha pure il suo rovescio della medaglia quando si tratta di spingere l'accelleratore sul pop rock, tanto che The Kiss of Life e Shouting in the Rain risultano piuttosto ordinarie e sottotono rispetto al resto.

Il beat di Girl si dipana in un chorus semplicemente meraviglioso cantato da Azia Crescenzo sorella di Casey. Su Cycles e Sweet Naivité Crescenzo lavora in punta di fioretto su belle modulazioni armoniche, mentre This Vicious Place, con le sue atmosfere oniriche marcate soprattutto dall'assolo finale, sembrerebbe un velato omaggio agli Allman Brothers e Let Go rivela quell'alone epico tipico degli Act. L'album si conclude con Don't Look Back una pacata orazione con echi di folk americano e irlandese. Tutto sommato, considerando la sua prolificità, Casey Crescenzo è una macchina da guerra musicale, fisiologicamente incapace di scrivere anche un solo brano mediamente mediocre, arrivato al quarto album in studio (o quinto se si contano i 9 EP di The Color Spectrum) senza mai sbagliare un colpo.




http://www.thedearhunter.com/

lunedì 1 aprile 2013

Sucioperro


Fin dalla sua nascita questo blog ha sempre seguito con interesse l'evoluzione dei Sucioperro, band scozzese che ha all'attivo quattro album in studio e molti EP. I Sucioperro si sono mossi sempre su uno stile post hardcore, alleggerito da tendenze pop rock, vicino alle caratteristiche degli amici Biffy Clyro, senza però conseguirne lo stesso successo. Anzi, nell'ultimo lavoro Fused, uscito lo scorso anno, il gruppo ha perseguito la strada di un rinnovamento radicale all'insegna di sonorità dark, pesanti, aspre e spigolose. Abbiamo fatto qualche domanda al cantante e chitarrista JP Reid che, oltre ai Sucioperro, è coinvolto con Simon Neil dei Biffy Clyro nei Marmaduke Duke, dei quali attendiamo il capitolo finale della trilogia da loro progettata, e nel progetto solista The Invisibles.


Sucioperro significa "cane sporco" in spagnolo… perchè questo nome?
Perché per noi il nome era unico e diverso da tutti gli altri presenti.


Che cos’è cambiato tra il primo (post hardcore) e l’ultimo album (hard pop)?
Siamo cresciuti e abbiamo trovato la nostra strada. La scrittura è semplicemente diventata più istintiva.


Com’è nata la collaborazione con Simon Neil dei Biffy Clyro?
Grazie ad una forte amicizia e ad una sfrenata passione per la musica e creatività.


Cosa ascolti?
JP Reid e Simon Neil nei panni dei Marmaduke Duke
Molto spesso è musica meravigliosa di diversi generi. L’importante è che abbia cuore, una forte immaginazione, creatività ed ambizione.


Come registrate un album?
Da Pain Agency abbiamo sempre lavorato in maniera autonoma: provavamo, registravamo e poi ci rivolgevamo ad un ingegnere del suono per mixare tutto nella più giusta maniera ed intraprendere la decisione più giusta; Chris Sheldon per Pain Agency e The Heart String and How to Pull It e Chris Gordon per Fused. I testi, invece, nascono dall’immaginazione, da una continua lotta interiore, da esperienze di vita. A volte nascono prima i testi, a volte, la musica.


Perché ci sono così tanti riferimenti al mondo animale nei vostri album?
Semplicemente amo gli animali e noi siamo animali.


Siete pronti a Death of The Duke con i Marmaduke Duke?
Saremo pronti quando il duca è pronto.



Intervista e traduzione a cura di 
Francesco Notarangelo
checcontr@yahoo.it

http://sucioperro.com/
http://sucioperro.bandcamp.com/