giovedì 30 giugno 2011

Tangled Hair - Apples EP (2011)


A chi piace il math pop dei Tubelord forse potrebbe rimanere ben impressionato da questa nuova, giovane band che ha all'attivo due EP (che qui potete ascoltare) l'ultimo dei quali - Apples - è davvero gradevole. Nell'attesa del secondo full lenght dei Tubelord (che dovrebbe essere pronto per agosto), i Tangled Hair sono una valida alternativa.

Tangled Hair - Apples by punktastic

mercoledì 29 giugno 2011

THE DEAR HUNTER - The Color Spectrum, The Complete Collection (2011)

Forse Casey Crescenzo vorrà essere ricordato come uno dei più prolifici songwriter della sua generazione. Tant'è che, in un'epoca dove una band fa attendere anche quattro anni tra un album e l'altro e la crisi discografica miete vittime su vittime, Crescenzo decise sin dall'inizio dei suoi The Dear Hunter di impegnarsi in un concept lungo 6 album (tuttora in corso) e in una serie di 9 EP ispirati ai colori dello spettro visivo a cui siamo arrivati oggi.

L'idea dei 9 EP non è molto dissimile a ciò che fecero i Thrice con i 4 EP di The Alchemy Index dedicati ai 4 elementi di terra, fuoco, aria e acqua e cioè associare uno stile musicale differente in base alle sensazioni date da quel particolare elemento. Qui si tratta di colori, ma, come si diceva, il concetto è lo stesso.

Per chi conosce i Dear Hunter nella versione canonica degli Act, qui troverà una forma più contenuta, ma non per questo meno spettacolare. Le 36 canzoni (4 per EP), distribuite nei quasi 145 minuti, dovevano avere, per forza di cose, un'impostazione differente rispetto al repertorio che troviamo negli album Act I-III. Crescenzo semmai si mette qui alla prova testando vari generi, o meglio, direzioni musicali. L'assortimento è tale quindi da soddisfare differenti palati musicali, pur lasciando riconoscibile lo stile compositivo di Crescenzo che si adatta a rispettare dei canoni formali ortodossi.

Il Black EP è sicuramente uno dei migliori dei 9 basato essenzialmente su bordoni elettronici, poliritmie programmate e "umane" che si amalgamano, dando spunti - anche progressivi - quasi crimsoniani (si veda l'intermezzo/ponte di Take More Than You Need o il riff all'interno del chorus di This Body).

The Dear Hunter - Filth And Squalor (Black) by ahhmunduh

Il Red EP contiene brani fondati su chitarre elettriche distorte al servizio di un hard rock moderno (quasi stoner) sanguigno e molto diretto. Questo EP perde però di mordente se confrontato con le canzoni di simile ispirazione dell'Orange EP. Anche qui abbiamo dei bei riff sferraglianti, ma che possiedono un tenore meno grezzo dove il punto di riferimento sembrano essere i primi Led Zeppelin (A Sea of Solid Earth, But There's Wolves?).


Yellow é quasi un episodio molto estivo, leggero e distensivo, che si culla tra i bollori della

psichedelia West Coast anni '60 e il Phil Spector "senza Wall of Sound" (She's Always Singing, Misplaced Devotion). Green e Blue sono due EP quasi complementari, legati profondamente alla tradizione musicale degli Stati Uniti, nonché quelli che mi hanno coinvolto di meno. Il primo è un viaggio nel folk, country-bluegrass con tanto di lap steel, il secondo mette a fuoco un soul svenevole fatto di ballate indolenti.

Con Indigo si toccano di nuovo vette di gran spessore. Crescenzo abbandona di nuovo la chitarra in favore di tastiere e sonorità elettroniche con beat programmati e sequencer. Non c'è un brano da buttare, a partire dal nuovo capolavoro Mandala. Le quattro tracce di Violet si rifanno allo stile da musical sensuale che viene utilizzato negli album Act, magari associato ai personaggi femminili della storia. White infine raccoglie dei brani dai toni solenni aperti dal piano alla Keane di Home e chiusi dalla stupenda Lost But Not All Gone.

Forse sarà favorito dalla sua gigantesca mole, ma The Color Spectrum è una delle cose migliori uscite in questo magro 2011.


Una notizia terribile....Alberto Bonomi R.I.P.



www.myspace.com/dutyfreearea

domenica 26 giugno 2011

Iona - Another Realm (2011)


Gli Iona hanno appena pubblicato il primo album doppio della loro carriera (a 5 anni di distanza dall'ultimo) intitolato Another Realm, inoltre è il primo che vede l'assenza di Troy Donockley sostituito da Martin Nolan. Per chi non lo sapesse gli Iona sono una progressive rock band che privilegia le tematiche cristiane e mi sembra che in quest'ultimo lavoro la cosa è più evidente che mai.

Faccio questo avviso poichè può capitare di trovarsi di fronte a delle liriche a tratti francamente stucchevoli, che non a tutti possono piacere. Comunque sono peccati veniali che si sciolgono come neve al sole di fronte al lirismo della chitarra di Dave Bainbridge che, secondo il mio modesto parere, rimane una delle migliori su piazza.

Tracklist:

Disc 1:
1. As it Was
2. The Ancient Wells
3. Another Realm
4. Clouds
5. An Atmosphere of Miracles
6. Let Your Glory Fall

Disc 2:
1. Ruach
2. Speak to Me
3. And The Angels Dance
4. Foreign Soil
5. Let The Waters Flow
6. Saviour
7. The Fearless Ones
8. White Horse
9. As it Shall Be



www.iona.uk.com

mercoledì 22 giugno 2011

Battle Circus - Battle Circus (2011)


Un'altra interessante segnalazione è questo album d'esordio dei neozelandesi Battle Circus che avevano già alle spalle un corposo EP risalente al 2007.

Gli album sono in streaming su Bandcamp e l'ultimo lo potete ascoltare qui (insieme al video di Galacticus) e lo potete scaricare anche gratuitamente, credo per un breve periodo.



Galacticus from Battle Circus on Vimeo.


www.battlecircus.com

lunedì 20 giugno 2011

Orchestre Celesti - Transition of Power (2011)


Segnalo questo progetto del tastierista Federico Fantacone chiamato Orchestre Celesti. Transition of Power (che potete ascoltare di seguito) è il terzo album sotto questo nome ed è composto da un progressive rock strumentale dove, naturalmente, a fare la parte del leone sono le tastiere di Fantacone molto sinfoniche e classicheggianti.





http://www.myspace.com/orchestrecelesti

venerdì 17 giugno 2011

HERD OF INSTINCT - Herd of Instinct (2011)


Herd of Instinct è un nuovo gruppo formato da Jason Spradlin (batteria), Mark Cook (Warr guitar), dei disciolti 99 Names of God, e dal chitarrista Mike Davison. L'album omonimo, uscito il 17 maggio per l'etichetta dei Djam Karet Firepool Records, ospita musicisti illustri come Jerry Marotta (Peter Gabriel), Pat Mastelotto (King Crimson, XTC), Gayle Ellett (Djam Karet) e Gavin Harrison (Porcupine Tree).

La potente musica elettrificata e oscura che scaturisce da Herd of Instinct vuole essere, per stessa ammissione del trio, un compendio di influenze che vanno dall'avant-garde, alle colonne sonore di film horror, dall'elettronica, alla psichedelia, passando naturalmente dai sentieri del progressive. Inutile dire che se vi piacciono le atmosfere elettriche e le trame elaborate di King Crimson, Djam Karet, Canvas Solaris e, perchè no, Tool questo album fa per voi.

Ciò che unisce l'istinto musicale della band è una propensione all'improvvisazione strumentale che si concentra su riff monolitici alternati a momenti distensivi (il raga mediorientale Road to Asheville), o la reiterazione di arpeggi di Warr guitar come nella macchinosa Blood Sky.
La natura sperimentale di queste composizioni suona affine più alle varie diramazioni dei ProjeKcts della famiglia Crimson che al gruppo madre in sè. Le ritmiche virano spesso verso il tribale, anche quando si tratta di ricorrere a beat elettronici come su Anamnesis e S.Karma, risaltando nella quasi ambient intellettuale alla Sylvian-Fripp di Possession.

Un disco dal fascino gelido, avvolto da un cupo impressionismo che forse ancora non svela in pieno le potenzialità dei tre, ma comunque suggestivo.
Potete ascoltare degli estratti dal CD a questi indirizzi:

giovedì 16 giugno 2011

Bon Iver - Bon Iver, Bon Iver (2011)


 Questo album non entra propriamente nella categoria progressive, ma i suoi arrangiamenti stratificati, delicati e non sempre formalmente ortodossi mi fanno ricordare che esistono band alternative come i The Unwinding Hours che giocano più sulle emozioni che sui virtuosismi. Ma mi voglio soffermare sui Bon Iver, o meglio Justin Vernon che è colui che si cela dietro al nome, perché l'esperienza d'ascolto di Bon Iver, Bon Iver è stata simile a quella di una persona che si avvicina ad un album progressive per la prima volta, ignaro di cosa lo attende. All'inizio, dedicandogli poca attenzione mentre fluiva dalle casse del mio computer, l'ho trovato un po' noioso (tranne Perth che mi ha colpito immediatamente). In un secondo momento, ascoltandolo con più impegno, munito di cuffie e con un paesaggio bucolico di fronte ai miei occhi, più di una volta sono stato colto da brividi. 
 
In particolare immergermi completamente nell'atmosfera di una canzone come Holocene mi ha suscitato delle emozioni che non provavo da tanto tempo ascoltando un brano musicale. Con i suoi soffici artifizi sonori, il falsetto sovrainciso che suona come una "voce a 12 corde" e gli arrangiamenti eterei ma quasi barocchi, fanno di Bon Iver, Bon Iver un lavoro che si apre a spazi infiniti e a ricordi latenti. Voglio dire che, per chi sa ascoltare, risveglia dei sentimenti profondi che si riconciliano con le piccole cose della vita e che ne fanno assaporare ogni minimo istante, anche il più insignificante. E quando trovi un'opera che ti fa provare queste cose vale la pena condividerla. 

Ho letto molte cose su questo secondo lavoro di Vernon e quasi tutte sono scritte non come recensioni, ma come un confronto con il suo predecessore For Emma, Forever Ago dal quale ne esce clamorosamente sconfitto. Per me un confronto tra le due opere è quasi impossibile per quanto risultano differenti e distanti, sia a livello artistico che qualitativo, tanto da sembrare il frutto di due artisti diversi. 

Bon Iver, Bon Iver è un capolavoro emozionante, un'opera su un piano superiore rispetto ai classici sentimenti umani e si libra verso una dimensione ultraterrena, dove esiste solo un'unica sensazione di pace e serenità. "Musica che arriva direttamente dal paradiso" come ha scritto con cognizione un fan su Twitter, con una sentenza breve, ma che non potrebbe essere più azzeccata. 

Quelle di Vernon non sono composizioni malinconiche da sfruttare come viatico per deprimersi o immergersi nella nostalgia. Tutt'altro. Personalmente, ascoltandole, mi trasmettono felicità, ma non la stessa, ad esempio, che ti fa meditare romanticamente sulle vicissitudini quotidiane della vita, è qualcosa di più, di "altro". La loro natura eterea ti riconcilia con la gioia di vivere. Forse avrò associato a questo album un'iperbole che a molti può apparire esagerata, ma ogni volta che lo ascolto rimango indifeso di fronte ad uno sconosciuto e indefinito sentimento universale. Mi verrebbe da espormi ancora di più e dire che se Dio esiste ascolta Bon Iver. 

La poesia per immagini del video di Holocene non fa che confermare quello che già ho esposto. Ho avuto la fortuna di visitare e vedere con i miei occhi tutti i paesaggi islandesi ripresi da questo video, così che, ammirandolo, le emozioni e la sorpresa sono state ancora più grandi. Bon Iver, Bon Iver non è di certo un album di progressive rock, ma per ora è saldamente in testa alla mia personale classifica di fine anno. 

PS. La stima per Justin Vernon è aumentata ancora di più quando ho saputo che il nome del suo progetto "Bon Iver" è preso dal titolo di una puntata di Northern Exposure, la sua serie TV preferita (e pure la mia), confessando che dopo la visione dell'ultima puntata si mise a piangere. In effetti la musica di Bon Iver, Bon Iver sarebbe stata perfetta per accompagnare le storie di Northern Exposure

mercoledì 8 giugno 2011

Il mistero "Kew. Rhone."


Credo di non essermi mai occupato in questo blog di album antecedenti agli anni Zero, ma c'è sempre una prima volta. Colgo questa occasione con un duplice intento: quello di dare spazio ad un capolavoro dimenticato e allo stesso tempo integrarlo alle tematiche del mio ultimo libro Il Progressive rock nell'Era del Punk e della New Wave.

Ma questa non vuole essere proprio una recensione, piuttosto una riflessione, visto che comunque in Rete, chi vuole, può trovare notizie a sufficienza a proposito di questo album. Mi chiedo quindi perchè nelle migliori antologie progressive quest'opera non compaia accanto a capolavori, ad esempio, come Rock Bottom, Third, In the Land of Grey and Pink o Hatfield and the North, contribuendo così ad alimentare la relativa oscurità di questa pietra d'angolo della scuola di Canterbury.

La causa andrà forse ritrovata nella sua data di uscita, fuori tempo massimo dalla cronologia temporale canterburiana? Il disco, oltre ad essere stato pubblicato nel 1977, è famigerato per essere uscito nello stesso giorno di Never Mind the Bollocks dei Sex Pistols tramite la stessa casa discografica (la Virgin). Eppure, questa contrapposizione di stili musicali agli antipodi che virtualmente si passavano il testimone del favore della stampa e del pubblico, sottolinea ancora di più quanto all'epoca la potenza espressiva del progressive rock fosse vitale. Kew. Rhone. non è infatti solo una delle pietre miliari del rock progressivo, ma, come fa notare il critico della BBC Peter Marsh, più rivoluzionario di quanto lo siano mai stati i Sex Pistols.

Un po' di storia.
Il bassista John Greaves, dopo aver lasciato gli Henry Cow e prima di unirsi ai National Health, si trasferì a New York nel 1976 per raggiungere il chitarrista Peter Blegvad (ex Slapp Happy) con il quale iniziò la stesura di un concept album. I due, che avevano già collaborato all’epoca del felice sodalizio artistico dei rispettivi gruppi (vedi Desperate Straights del 1974 e In Praise of Learning del 1975), si divisero i compiti: Greaves si occupò delle musiche e Blegvad delle liriche.

Dopo avere reclutato la cantante Lisa Herman e musicisti jazz della caratura di Michael Mantler (tromba, trombone), Carla Bley (voce, sassofono tenore) e Andrew Cyrille (batteria), l’album che ne uscì fu lo strepitoso Kew. Rohne., uno dei massimi vertici dell’arte canterburiana e del Rock In Opposition. L’opera è una pressoché perfetta unione che rimane in bilico tra questi due generi dato che, pur affondando le mani nell’emancipata avanguardia degli Henry Cow, riesce a mantenere un legame con la malinconica canzone jazz di marca wyattiana, nonostante l’uso inusuale di dissonanze e ritmiche articolate.

I meriti compositivi di Kew. Rhone., però, non si limitano solo a questo. In particolare vi emergono delle influenze dettate dal musical teatrale - nelle sue forme più nobili e colte - che negli anni si distinse per avvicinare la musica classica a gusti più popolari: da quello di Kurt Weill fino ad arrivare a quello di Leonard Bernstein. L’impostazione surreale e cerebrale delle musiche è seguita a ruota dalle liriche intangibili di Blegvad che escogitano di volta in volta giochi verbali, forme palindrome e anagrammi.

venerdì 3 giugno 2011

Yes - Fly from Here (2011)


Un tempo gli Yes erano il mio gruppo preferito, oggi mi sembrano un'allegra congrega di mercenari. Pronti a sfornare un nuovo album in studio (a 10 anni da Magnification) con l'ennesimo cambio di line-up e il clamoroso benservito riservato al pilastro della band Jon Anderson. Comunque Fly from Here uscirà in Giappone il 22 giugno, in Europa il 1 luglio e negli States il 12 luglio.

Tracklisting:
Fly From Here - Overture; Fly From Here - pt I - We Can Fly; Fly From Here - pt II - Sad Night At The Airfield; Fly From Here - pt III - Madman At The Screens; Fly From Here - pt IV - Bumpy Ride; Fly From Here - pt V - We Can Fly;
The Man You Always Wanted Me To Be
Life On A Film Set
Hour Of Need; Solitaire
Into The Storm




Questo è un estratto dalla suite che dà il titolo all'album. Ad un primo ascolto sembra molto anni '80.